DOMANDE & RISPOSTE
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DOMANDE & RISPOSTE
Fisco a maglie più strette sui capital gain
Per investire in Cina mi è stato consigliato l'acquisto di una società operativa cinese in via indiretta, tramite una holding estera, poiché intendo cedere la partecipazione nella società cinese in tempi non eccessivamente lunghi. Vorrei conoscere l'impatto fiscale .


L'investimento in un nuovo Paese richiede un'analisi degli impatti - anche fiscali - sia in fase di "ingresso" che di "uscita". In particolare, la tematica relativa alla tassazione dei capital gain generati dalla cessione di società residenti cinesi da parte di imprenditori non residenti richiede particolari cautele dato il mutato scenario della normativa cinese. Il capital gain generato dalla cessione da parte di un soggetto non residente (come un imprenditore italiano) di una partecipazione diretta in una società residente cinese, è tassabile in Cina con un'aliquota del 10%. Questo ha determinato il diffondersi di strutture volte ad interporre uno o più veicoli societari, noti con il termine anglosassone di "Special Purpose Vehicle" (SPV),
tra l'investitore estero (per esempio residente in Italia) e la società cinese meglio nota come "Foreign Investment Enterprise" (FIE). Così facendo, l'investitore ha la possibilità di dismettere l'investimento in Cina mediante la vendita della partecipazione nella SPV evitando l'insorgere del presupposto impositivo in Cina. Il 15 dicembre 2009 con la circolare nota come Guo Shui Han 2009 l'autorità fiscale cinese ha però precisato che i capital gain derivanti da trasferimenti indiretti di capitale in società cinesi, attraverso la cessione di holding "off-shore", possono essere tassati in Cina se la struttura non è giustificata da "valide ragioni economiche" e il venditore e l'acquirente sono soggetti non-residenti in Cina. A tal fine, sono stati introdotti e posti a carico dell'investitore estero alcuni obblighi documentali da produrre entro trenta giorni dalla data di conclusione del contratto di trasferimento che consentono alle Autorità cinesi di verificare la "sostanza economica" della holding "off-shore" (o SPV). In particolare, sono considerati indicatori della mancanza di una vera sostanza economica il fatto che la holding "off-shore" (o SPV) sia localizzata in un Paese che comporti una tassazione effettiva sul reddito inferiore al 12,5% oppure che nessuna tassazione sia prevista, in capo alla holding, da tale Stato sui redditi di "fonte" estera. Nel caso in cui la struttura intermedia posta in essere dall'investitore estero fosse ritenuta, dalle autorità cinesi, priva di "sostanza economica" - e finalizzata, dunque, al conseguimento di un vantaggio indebito, come la non tassazione del capital gain in Cina - l'operazione di cessione della partecipazione potrà essere "catturata" dalla potestà impositiva cinese, disconoscendo l'interposizione della Holding "off-shore" (o SPV) e riqualificando l'operazione in una cessione diretta della partecipazione nella società cinese, da parte dell'investitore estero. Questo nuovo approccio restrittivo ha trovato una sua manifestazione nel "Jangsu Tax Case" del giugno del 2010, dal nome della provincia cinese interessata. In particolare, tale caso - che ha portato all'applicazione di ritenute per un importo di circa 173 milioni di yuan (pari a circa 20 milioni di euro) su un capital gain pari a circa 200 milioni di euro - ha riguardato la cessione a terzi, da parte di un gruppo americano, dell'intero pacchetto partecipativo detenuto in una holding localizzata ad Hong Kong che, a sua volta, deteneva una partecipazione del 49% in una società cinese. La holding di Hong Kong è risultata essere, dalle verifiche effettuate dalle Autorità cinesi, priva di "sostanza economica" poiché priva di uffici, personale e avendo quale unico asset la partecipazione nella società cinese. La holding intermedia, inoltre, non era mai menzionata dai comunicati stampa dell'acquirente, anche in ragione della palese assenza di sostanza economica. Questo ha così escluso ogni chance di veder attribuire a quest'ultima almeno una porzione del capital gain generatosi dall'operazione.
In conclusione, si può dire che le strutture interposte a investimenti in società cinesi restano efficaci solo se supportate da "valide ragioni economiche" e se dotate di adeguata "sostanza economica". Le costruzioni "artificiose" sono ormai sotto la lente d'ingrandimento del Fisco cinese che ne ostacola fermamente ogni utilizzo distorsivo. Va ricordato, infine, che in caso di riqualificazione dell'operazione in una cessione diretta della partecipazione nella società cinese, il Trattato contro le doppie imposizioni siglato tra Italia e Cina non potrà apportare alcun beneficio essendo qui espressamente prevista la tassazione del relativo capital gain nel Paese della "fonte", senza alcuna rinuncia alla potestà impositiva da parte di quest'ultimo in favore del Paese della "residenza" come, per contro, è previsto in altri Trattati.
K Studio Associato (Kpmg)

21/02/2011
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