Roma, 2 mag.- Mentre tutta la Cina si è fermata per celebrare la festa dei lavoratori, quest'anno l'entrata in vigore della legge sul divieto di fumo ha guastato a molti i festeggiamenti. Quei 'molti' corrispondono a circa un terzo dei fumatori mondiali e al 30% della popolazione cinese adulta. Attualmente il Paese di Mezzo conta oltre 300 milioni persone che per una 'bionda' mettono a repentaglio la propria salute. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, i decessi dovuti al consumo di tabacco si aggirano attorno all'1,2 milioni, circa il 20% della stima mondiale (questo articolo). A queste si aggiungono le previsioni del "Tobacco control and China's future", documento stilato da 60 esperti del controllo del tabagismo sia cinesi che stranieri, che prevedono che, se la tendenza non verrà invertita, entro il 2030 circa 3,5 milioni di persone moriranno ogni anno per malattie legate al fumo. E nel cui conto-spesa del ministero della Sanità cinese non compaiono solo i tabagisti attivi, ma anche quelli passivi. L'eventualità di pagare costi sociali ed economici così alti ha sì spinto il Dragone a schiacciare il piede sul freno, ma senza fretta: la legge sarebbe dovuta entrare in vigore il 9 gennaio, termine ultimo per la Cina per onorare la Convenzione per il controllo del tabacco stipulata con l'Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2005. Una mancanza dovuta, secondo quanto riportato a gennaio dall'agenzia di stampa Xinhua, all'assenza di una legislazione a livello statale e a un'amministrazione ancora poco efficiente.
Ma secondo molti osservatori, i quattro mesi di ritardo non sono stati sufficienti a mettere a punto una normativa in grado di limitare in modo decisivo il consumo delle 'bionde'. Se è vero che dal 1 maggio è proibito fumare nella maggior parte dei luoghi pubblici quali parchi, alberghi, teatri, musei, negozi, ristoranti e bar – ma non negli uffici e nei posti di lavoro -, è vero anche che non esiste ancora una pena effettiva per i trasgressori, né disposizioni chiare sull'applicazione del divieto. Condizioni quanto mai necessarie per poter assistere a un netto abbassamento del livello di dipendenza da fumo del Dragone. "Abbiamo saputo di questa legge un mese fa, ma non ci è ancora stato detto come procedere" ha spiegato Zhu Linzhi, proprietario del Green Tea Restaurant di Pechino. "Abbiamo creato una sala fumatori, ma in base alla nostra esperienza sappiamo già che sarà molto difficile impedire ai clienti di fumare". Già in occasione delle Olimpiadi di Pechino e dell'Expo di Shanghai i cinesi, il cui amore per le sigarette è legato sia alla storia del Paese che alle abitudini dei leader comunisti (questo articolo), avevano mostrato indifferenza verso i segnali di divieto disseminati ovunque nelle due città. D'altronde sono spesso gli stessi gestori dei locali a permettere loro di fumare temendo ripercussioni economiche. "Operiamo nel comparto dei servizi. Il nostro lavoro è quello di soddisfare i clienti non di metterli in difficoltà. Se affiggessi un cartello "no Smoking" alcuni di loro potrebbero andare via e i nostri affari ne risentirebbero" ha commentato Zhang Yang, manager dell'UBC Coffee shop di Pechino secondo cui il 40% dei suoi clienti è rappresentato da fumatori. Ma secondo gli esperti, oltre ai tabagisti e ai gestori dei locali a remare contro la disintossicazione del Dragone è soprattutto l'industria del tabacco – prima al mondo - che nel 2009 ha fruttato alle casse dello stato quasi 75 miliardi di dollari, pari secondo il Global Times al 10% del Pil.
di Sonia Montrella
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