Qual è l'impatto effettivo della crisi globale sull'occupazione in Cina? A Pechino, tra ministeri e think-tank del governo è guerra di cifre. Secondo l'edizione 2009 del "Green Book of Population and Labour", una pubblicazione annuale compilata dall'influente Accademia Cinese di Scienze Sociali, sono 41 milioni i cinesi che hanno perso il lavoro a causa degli effetti della crisi finanziaria, e ben 23 milioni di loro sarebbero ancora disoccupati. Ma i dati prodotti il mese scorso dal ministero della Sicurezza Sociale e Risorse Umane – equivalente del nostro dicastero del Lavoro- mostrano che i lavoratori rimasti disoccupati in seguito alla crisi sarebbero "solamente" 16.5 milioni, un numero in aperto contrasto con quello elaborato dai ricercatori della Cass. Il ministro Yin Weimin ha dichiarato nel corso di una conferenza stampa che " a livello nazionale la situazione occupazionale rimane grave". "Nonostante la massiccia domanda di manodopera recentemente registrata in zone trainanti del manifatturiero cinese come il delta dello Yangtze e il delta del Fiume delle Perle dimostri una ripresa graduale, non si tratta di due aree indicative del resto del paese- ha proseguito Yin- e l'eccessiva offerta di lavoro potrebbe continuare per un lungo periodo". Secondo le ultime statistiche ufficiali, risalenti al giugno scorso, il tasso di disoccupazione in Cina è attestato al 4.3%. L'obiettivo dichiarato del governo per fronteggiare la crisi è di mantenerlo al di sotto del 4.6%, pur sempre il risultato peggiore dal 1980. Attenzione però: questi dati si riferiscono solo alla disoccupazione registrata nelle zone urbane, ed escludono l'immensa forza-lavoro che, spostandosi ogni anno dalle aree rurali a quelle industrializzate, costituisce la spina dorsale della capacità produttiva cinese. Nelle campagne cinesi vivono circa 750 milioni di persone, più degli abitanti di Stati Uniti ed Unione Europea messe insieme: tenendo conto di questa sterminata popolazione, molti economisti ritengono che il tasso di disoccupazione effettivo in Cina sia almeno doppio rispetto a quello mostrato dalle statistiche ufficiali. Il "Green Book of Population and Labour" contiene poi una presa di posizione netta sull'impiego dei 4mila miliardi di yuan del piano di stimoli straordinari all'economia varato dal governo cinese nel novembre scorso: secondo la CASS questa iniezione di capitale sarà capace di creare più di 51 milioni di posti di lavoro; ma, se invece di un utilizzo per progetti infrastrutturali (atti soprattutto all'innalzamento del PIL) fosse canalizzata verso politiche maggiormente orientate all'occupazione, la stessa somma potrebbe dare impiego a 72 milioni di persone, ben il 41% in più rispetto al piano attuale. Il governo di Pechino punta per il 2009 alla creazione di 9 milioni di posto di lavoro. Secondo Chen Xiwen, alto funzionario di stato, direttore del Central Rural Working Leading Group (think tank del governo per le politiche agricole) i lavoratori che alla fine di giugno avevano lasciato le campagne per cercare un impiego nelle fabbriche erano 150 milioni, il numero più alto della storia. Ed è su questa immensa massa di immigrati interni che si gioca la stabilità sociale di tutta la Cina.