Pechino, 11 apr.- Nuovo round nella consolidata sfida USA-Cina sui diritti umani: Pechino ha pubblicato ieri l'ultima edizione del suo rapporto sulla situazione americana, in risposta al dossier diffuso dal dipartimento di Stato di Washington venerdì scorso. E se il segretario di Stato Hillary Clinton si è detta "profondamente preoccupata" per il giro di vite attuato nelle ultime settimane in Cina, dove "dozzine di intellettuali, avvocati e scrittori" sono stati arrestati e posti sotto custodia dalle forze dell'ordine, Pechino ribatte dipingendo una società americana afflitta da povertà, crimine e discriminazione razziale e di genere.
Lo scontro tra i due dossier si ripropone ogni anno, ma l'edizione 2011 si fa ancora più accesa sull'onda dell'attualità: Clinton ha menzionato esplicitamente il caso di Ai Weiwei, l'artista cinese di fama mondiale, critico verso il regime, arrestato domenica 3 aprile a Pechino per non meglio specificati "reati economici" (questo articolo). Sabato uno dei portavoce del ministero degli Esteri cinese è passato al contrattacco chiedendo agli USA di "non interferire sulle questioni interne di altri paesi utilizzando i diritti umani come scusa". Il rapporto di Pechino, pubblicato subito dopo, invita Washington a guardarsi allo specchio e affrontare le violazioni dei diritti umani nel cortile di casa propria: "Negli Stati Uniti la violazione dei diritti civili e politici dei cittadini da parte del governo è a livelli sempre più gravi" si legge nel dossier, che descrive una società americana funestata dalla libera circolazione delle armi, in cui una polizia dai metodi brutali deve fronteggiare una criminalità sempre più spietata mentre il governo si piega agli interessi economici delle grandi multinazionali. Nessuno sconto anche per la politica estera Made in USA, colpevole dei bagni di sangue in Iraq e Afghanistan e di un largo impiego della tortura per piegare i soldati nemici.
Venerdì scorso il dipartimento di Stato USA aveva definito "negativo" il trend del rispetto dei diritti umani in Cina, con particolare riferimento alle province del Tibet e dello Xinjiang, sostenendo che gli spazi di libertà d'espressione per i cittadini cinesi si stanno restringendo sempre di più. E che la tendenza sia in qualche modo indirizzata verso il basso lo conferma anche la cronaca recentissima: ieri, secondo quanto riferisce l'ong China Aid, circa 160 cristiani sono stati presi in custodia dalla polizia di Pechino per aver tentato di officiare una preghiera in pubblico dopo lo sfratto al quale era stata sottoposta la chiesa nella quale si riunivano di solito.
Da questo gioco delle parti in cui le due più importanti economie del mondo si puntano a vicenda il dito contro emergono anche aspetti grotteschi, come lo scambio di accuse reciproche sul fronte della libertà su internet e sulle sentenze nei tribunali. Nessuno dei due dossier, tutta via, menziona la questione della pena di morte: nonostante le condanne eseguite in Cina siano di gran lunga superiori a quelle statunitensi, ecco un argomento che nessuna delle due sponde del Pacifico preferisce sollevare.di Antonio Talia
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