Dietro il no cinese il business energetico
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Dietro il no cinese il business energetico

Dietro il no cinese il business energetico

Politica e affari. Pechino sostituisce sempre più spesso gli occidentali nei contratti per lo sfruttamento di petrolio e gas
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Roberto Bongiorni
Meglio negoziare, di sanzioni non se ne parla. Anche davanti all'annuncio iraniano di aver dato il via alla fase di arricchimento dell'uranio al 20%, Pechino insiste: occorre seguire la via diplomatica. Più che un atto di ritorsione contro gli Stati Uniti, determinati a imporre un nuovo round di sanzioni - sarebbe il quarto - in sede di Consiglio di sicurezza, la decisione è dettata da interessi economici. Al di là degli ultimi attriti con Washington, il colosso asiatico ha più di una ragione per opporsi a nuove sanzioni o, comunque, per annacquare il loro contenuto. E tra queste "ragioni" il settore energetico - su cui la Cina è molto sensibile - fa la parte del leone.
Negli ultimi anni, con un crescendo inarrestabile, la Cina ha trovato nella Repubblica islamica una grande opportunità per assicurarsi gli approvvigionamenti di idrocarburi necessari a soddisfare la sua economia energivora. Il sodalizio energetico tra i due paesi non è una novità. Ma l'accelerazione è sorprendente; più l'Occidente ha preso le distanze, più la Cina si è avvicinata al quinto esportatore mondiale di petrolio. Fino a diventare, nel 2009, il primo partner commerciale con un interscambio pari a 29 miliardi di dollari. I quali, secondo quanto scrive il quotidiano britannico Financial Times, salgono a 36,5 miliardi se si includono le spedizioni che in teoria figurano come commercio con gli Emirati Arabi ma che in pratica fanno parte dell'interscambio Cina-Iran.
Petrolio innanzitutto. Dopo Arabia Saudita e Angola, l'Iran è il terzo fornitore della Cina. Anche nel 2009 - anno in cui la crisi finanziaria ha provocato una flessione dei consumi energetici in tutto il mondo - le sue vendite di greggio verso Pechino sono cresciute di quasi il 10 per cento. Attualmente la Cina importa dall'Iran 440mila barili al giorno, il 12% del suo import complessivo. Non si tratta solo di acquisto di barili: Pechino ha siglato una serie di importanti contratti per lo sviluppo di progetti vitali: dal potenziamento di grandi giacimenti, ormai in stato fatiscente dopo 30 anni di isolamento tecnologico internazionale, fino a grandi progetti per lo sfruttamento di giacimenti nuovi. La cinese Cnpc finanzierà il 90% dei costi (2,5 miliardi di dollari) per lo sfruttamento del maxi-giacimento di South Azadegan. Pechino ha poi firmato un contratto anche per Azadegan Nord. Nel 2007 la cinese la Sinopec si è aggiudicata il contratto (circa due miliardi di dollari) per i pozzi di Yadaravan.
Non solo. Seguendo un copione già collaudato - soprattutto in Africa - le compagnie cinesi hanno colmato il vuoto creatosi dopo il ritiro delle major occidentali su grandi progetti di sviluppo. L'ultimo esempio, in Iran, è South Pars gas, fase 11. La Total era in corsa per il progetto. Lo scorso giugno, tuttavia, l'Iran ha firmato un contratto preliminare di 4,7 miliardi di dollari con la major cinese Cnpc rimpiazzando di fatto la Total (secondo una fonte citata ieri dalla Reuters le perforazioni dovrebbero già iniziare in marzo). La major francese era in trattative da circa nove anni. Molti analisti sostengono che il ritiro - o l'esclusione (la vicenda non è chiara, anche perché l'Iran sostiene che i negoziati siano ancora aperti) - sia dovuto alla minaccia di sanzioni, una spada di Damocle che frena i progetti internazionali in corso e scoraggia ulteriori investimenti.
Secondo l'agenzia iraniana Shana, specializzata nel settore energetico, il volume della partecipazione cinese nei settori del gas e del greggio iraniano ammonta a 50 miliardi di dollari. Molto più del Pil di diversi stati africani.
Molti di questi progetti sono ancora all'embrionale fase del "memorandum of understanding". Per i più scettici sono solo dichiarazioni di intenti, facilmente rescindibili. Quando arriva il momento di sborsare i soldi Pechino è sempre molto cauta. Se lo scenario internazionale dovesse peggiorare drasticamente, potrebbe ritirarsi. Ma è probabile che alcuni accordi si trasformino presto in contratti. Come è probabile che Pechino voglia mettere le mani sul promettente settore del gas. L'Iran possiede le seconde riserve mondiali di gas naturale, ma in pratica non ne esporta. Un tesoro, dunque, ancora da sfruttare. L'accordo più importante - valutato 16 miliardi di dollari - tra Pechino e Teheran riguarda il maxi-giacimento di North Pars. Non è solo un accordo ancora da perfezionare: nel gennaio del 2009 i due paesi hanno firmato un contratto per lo sviluppo di una fase del progetto per un valore di due miliardi di dollari. Obiettivo: produrre 35 milioni di metri cubi di gas al giorno. Come trasportarlo?
Una delle arterie principali potrebbe essere il Pak-Iran pipeline. Concepito nel 1990, il gasdotto della pace" doveva collegare i campi iraniani di gas di South Pars passando per il Pakistan fino ad arrivare all'India. La trattativa tra Pakistan e India, due paesi in guerra, sembrava a buon punto quando l'India nel 2008 si è ritirata dal progetto: ragioni di sicurezza, è stata la spiegazione ufficiale. Ma l'opinione più diffusa è che le ripetute pressioni americane sull'India abbiano sortito il loro effetto. Al fine di isolare l'Iran, lo scorso gennaio Washington ha cercato di dissuadere anche Islamabad, promettendo in cambio del suo ritiro una cooperazione energetica. Una mossa apparentemente senza successo. Venerdì il ministro degli Esteri iraniano, Manouchehr Mottaki, parlando a una delegazione di giornalisti pakistani, ha annunciato due sviluppi: i lavori inizieranno presto. E il progetto avrà probabilmente un importante finanziatore: la Cina.
Un altro passo in avanti nel consolidamento tra Pechino e Teheran. Un passo decisivo che, secondo il noto editorialista pakistano Hamid Mir, avrà importanti ripercussioni . Se la Cina dovesse aderire al progetto, ha avvertito Mir, per gli Stati Uniti diverrebbe molto difficile imporre sanzioni. Non solo il petrolio, ma anche il gas per Pechino è un argomento molto convincente.
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29 miliardi di dollari
È l'interscambio tra Cina e Iran nel 2009, una cifra che sale a 36,5 miliardi aggiungendo le spedizioni che avvengono via Dubai. Pechino, è diventata l'anno scorso il primo partner commerciale di Teheran, divenuta a sua volta il suo terzo fornitore di petrolio
50 miliardi di dollari
Il valore dei progetti cinesi nel settore del gas e del petrolio in Iran secondo i media di Teheran
137 miliardi di barili
Le riserve iraniane di greggio, terze al mondo. Quelle di gas sono le seconde, ancora da sfruttare

11/02/2010
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