Roma, 03 nov.- "Il futuro della Cina sta nella società". La frase che il dissidente premio Nobel per
Dopo aver affrontato a testa alta la crisi finanziaria,
E' stato Jean-Philippe Béja a tracciare un quadro dell'attuale situazione cinese, provando a fare alcune previsioni. L'incremento del controllo del PCC è iniziato dopo i fatti di Tian'anmen, ha spiegato Béja. "E' sbagliato affermare che in Cina le riforme economiche hanno preceduto quelle politiche. E' l'esatto contrario". La stretta è arrivata dopo i fatti di Tian'anmen, continua Béja, e dopo il tentativo di negoziazione con gli studenti manifestanti di Zhao Ziyang (allora segretario del PCC). Un gesto che è stato visto dai dirigenti come un tradimento nei confronti dell'unità del partito. Da quel momento il PCC ha imboccato una nuova strada cercando ad ogni costo di frenare forze contrapposte politiche che potrebbero minacciare l'unità. Ciò ha portato a un consenso: tutti i mezzi sono possibili per sviluppare l'economia a patto che sia evitata e scoraggiata qualsiasi organizzazione autonoma che possa minacciare il monopolio del partito. Ma in una società sempre più complessa, mantenere il controllo diventa sempre più difficile. E ancora più arduo è tenere a bada quei movimenti per la difesa dei diritti (weiquan yundong) guidati da organizzazioni non governative. "Sono molti i focolai di protesta che si accendono in varie zone della Cina – continua Béja-. Ci si ribella al governo che spesso per inseguire lo sviluppo economico calpesta i diritti dei cittadini espropriando loro terre e case in cambio di poco denaro".
Gli episodi di ribellione crescono a ritmi esponenziali tanto che il governo non riesce più a mantenere il controllo su di essi. "All'indomani delle Olimpiadi di Pechino è emerso chiaramente il bisogno di un dibattito sulla natura della stabilità politica. E' stata creata un'amministrazione apposita incaricata di proteggere la stabilità attraverso la repressione delle agitazioni. A ciò si aggiunge il fatto che i funzionari vengono giudicati anche sulla loro capacità di mantenere la stabilità quindi è nel loro interesse impiegare qualsiasi mezzo per raggiungere questo scopo". Nonostante queste misure, Pechino non sembra aver scoraggiato i cittadini a lottare per i propri diritti, anche creando confusione. E non sembrano essere soli. Le parole di Wen Jiabao non paiono sostenere solo le idee del premier, dietro di lui c'è l'intera fazione del PCC guidata appunto da Wen. "Siamo giunti alla fine del consenso dell'89, e forse ci sono forze all'interno del partito che stanno lottando per queste riforme. Non siamo ancora nel clima degli anni 80, ma almeno si sta rimettendo in discussione il patto siglato nell'89".
Ne è convinta anche Marina Miranda, secondo cui il fatto che le azioni di protesta provengano proprio da ex membri del PCC è un segnale che qualcosa si sta muovendo. Nel corso dell'intervista alla CNN, Wen aveva affermato che "il desiderio di democrazia per una popolazione è irrefrenabile". Dopo un iniziale black out del discorso da parte della maggior parte dei media nazionali, le parole del premier in patria hanno dato il via a una serie di reazioni apparse sui media di stato che hanno poco gradito l'intervento definendo Wen "un attore". Il Guanming Ribao, in un editoriale pubblicato il 4 settembre, ricorda che non bisogna confondere le due tipologie di democrazia. "Questo bisogno di ribadire la posizione ortodossa ci fa pensare che ci sia un interlocutore e che le dichiarazioni di Wen non siano solo del premier ma che ad appoggiare le sue tesi c'è un intera fazione" afferma Miranda. Ma se davvero qualcosa cambierà in nome di una maggiore democrazia, non avverrà alla 'maniera occidentale' garantisce la professoressa Miranda. "I leader cinesi ritengono che
di Sonia Montrella
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