Pechino, 01 ott. - Sessant'anni fa Mao Zedong annunciava la fondazione della Repubblica Popolare Cinese dal podio di Tian An Men sulla Porta della Pace Celeste; oggi, nello stesso posto, Hu Jintao esaltava i progressi fatti dalla Cina: che cosa c'è nel mezzo? Il presidente cinese, nel suo discorso di appena otto minuti, non ha pronunciato il nome del padre fondatore della Patria una singola volta, mentre invece ha speso numerosi riferimenti su Deng Xiaoping, il Piccolo Timoniere artefice delle riforme economiche. "Oggi una Cina socialista che guarda al futuro si staglia alta e ferma nell'Est, - ha detto Hu - lo sviluppo e il progresso degli ultimi sessant'anni hanno ampiamente dimostrato che solo il socialismo può salvare la Cina e solo le riforme e l'apertura possono assicurare lo sviluppo del paese, e del marxismo". Se il Grande Timoniere, insomma, rimane un riferimento indiscutibile per la leadership cinese - come recita la posizione ufficiale secondo cui i "grandi errori" di Mao sono superati dal suo contributo alla Cina e possono quindi essere definiti "secondari"- il punto di svolta è pur sempre rappresentato da Deng. E le ragioni sono eminentemente economiche. Nel 1956, nel bel mezzo del primo piano quinquennale voluto da Mao, il 67.5% delle industrie cinesi era di proprietà statale, mentre il resto era detenuto da una proprietà mista pubblico-privata; più del 90% delle fattorie era in mano alle cooperative. Fu un primo fallimento, che avrebbe spalancato le porte a effetti tremendi sulla popolazione: il piano, infatti, produsse un incremento dei lavoratori non agricoli da 36.5 milioni a circa 41 milioni, insufficiente ad assorbire la popolazione in età lavorativa, che cresceva di circa 4 milioni di persone all'anno. I critici che fecero notare come l'assenza di qualsiasi dinamica dei prezzi o di mercato stesse minando la produttività, vennero bollati come "reazionari". Subito dopo, il cosiddetto "Grande Balzo in Avanti", con una riorganizzazione delle cooperative agricole (dette "brigate di produzione") in circa 25mila comuni ognuna composta da circa 20mila persone, fallì tanto nell'agricoltura che nello sfruttamento di economie di scala per sostenere un'attività industriale primitiva (le celebri fonderie di ghisa da cortile). Sul fronte puramente industriale, dei 1639 impianti progettati dalla fine del '58, solo 28 erano in funzione. La carestia che si abbatté sul paese tra il 1958 e il 1961 mentre i falsi proclami ufficiali annunciavano il funzionamento del progetto causò la morte di 38 milioni di persone. Tralasciando tutti gli orrori che seguirono con la Rivoluzione Culturale, basti pensare che il PIL cinese procapite crebbe di circa il 2.2% l'anno durante la maggior parte degli anni '50, scese all'1.6% negli anni '60 e raggiunse l'1.8% nei '70. Nel 1949, alla fine della guerra civile, la Cina era tra gli ultimi paesi al mondo; trent'anni dopo era precipitata ancora più in basso. Che benefici portarono le riforme avviate da Deng Xiaoping? Con la creazione delle prime Zone Economiche Speciali e una progressiva, parziale apertura al mercato, tra il 1978 e il 1985 il reddito netto procapite nelle zone rurali triplicò, salendo da 400 yuan fino a 2366 yuan nel 2001 il che, crudamente, equivale a dire che in Cina non si moriva più di fame. Il resto è storia recente: una Cina il cui PIL cresce con ritmi a due cifre dal 2003 in poi, fatta eccezione per il 2008, anno dell'inizio della grande crisi, nel quale ha comunque ottenuto, secondo le stime ufficiali, un ottimo +9%. Facile intuire perché il Piccolo Timoniere venga ancora considerato il principale artefice delle riforme economiche cinesi e dello slancio di Pechino. Le riforme politiche, e la posizione di ferro tenuta da Deng nel reprimere con i carri armati la rivolta del 1989 a piazza Tian An Men invece, son tutt'un'altra storia.
Antonio Talia