Deficit da record con la Cina
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Deficit da record con la Cina

Deficit da record con la Cina

Scambi. Da gennaio ad agosto il saldo import-export è negativo per 11,6 miliardi di euro: è l'80% del disavanzo globale
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MILANO
Con la Cina il divario commerciale c'è, le statistiche lo dimostrano. Altrettanto eloquenti, però, sono le dinamiche della logistica: partono leggeri, i voli cargo dall'Italia, per far ritorno gravidi di merci cinesi a sempre più alto valore aggiunto. Divario impossibile da azzerare, quello Italia-Cina, però colmabile, specie in alcuni settori. Se i dati delle dogane cinesi confermano nel 2009 una crescita dell'export italiano del 3,1%, è certo che il tessile, il legno-arredo, la gommaplastica, i prodotti tecnologici faticano a guadagnare terreno in Cina.
Il passivo dei primi otto mesi rispetto alla Cina sfiora i 12 miliardi, è al top di sempre, rappresenta l'80% del nostro disavanzo commerciale globale.
«Le due economie - sottolinea Thomas Rosenthal, responsabile del Cesif, il Centro studi della Fondazione Italia-Cina - sono sostanzialmente competitive, non complementari. Scambiano prodotti statisticamente identici ma qualitativamente diversi. La produzione italiana in molti settori è caratterizzata da maggiore valore aggiunto e contenuto tecnologico. La Cina sta recuperando terreno molto rapidamente anche grazie allo spillover derivante dalla presenza di imprese multinazionali in Cina, incluse quelle italiane».
«I dati Sea sulle due destinazioni cinesi, i volumi di merce movimentata dalla nostra compagnia nei primi dodici mesi, indicano una ripresa anche se lieve dei movimenti verso la Cina», commenta Alcide Leali, presidente di Cargoitalia, la compagnia che ha iniziato a operare un anno fa da Malpensa su Hong Kong e, da luglio, su Shanghai. Leali professa ottimismo, visto che da Hong Kong, in un solo anno, ha esportato 5.851 tonnellate di merci, importandone 8700, e da Shanghai, in un mese, 461 contro 493. «Partono pezzi di macchinari industriali di varie tipologie, ricambi per macchine agricole e movimento terra, abbigliamento finito, pelli e tessuti per abbigliamento, accessori, prodotti alimentari. Arrivano elettronica di consumo, abbigliamento semilavorato e finito, basi chimiche per profumi. Secondo i dati Sea, da Malpensa, la variazione dei volumi nei primi 7 mesi sul 2009 ha premiato l'export (+99%), più dell'import (+77 per cento).
«Attenzione, spesso le partenze non avvengono esclusivamente dall'Italia, le stesse merci italiane partono da altri scali europei anche a causa della concorrenza tra gli operatori - avverte Daniele Pala, responsabile cargo sales Italia di Air China cargo, partita un anno e mezzo fa con tre aerei, un altro in arrivo dal mese prossimo. In Cina spediamo macchinari, prodotti di moda, parti di pelli per le scarpe, mobili, auto e, stando a quanto rivela il nostro marketing, anche alimenti deperibili. Una vera svolta». La mozzarella di bufala? «Sì, anche quella, i cinesi stanno imparando a gustarla».
«In Cina, dobbiamo imparare a vendere», va subito al sodo Paolo Bastianello, vice presidente vicario di Sistema moda Italia, imprenditore tessile titolare del marchio Marlys. «Certo, specie nel nostro ambito, il saldo import-export non ci sorride, però le cose stanno cambiando, e in fretta. I volumi sono ancora bassi, ma tengo a sottolineare l'aumento del 78% dell'export tessile nei primi sei mesi del 2010».
La Cina - rivela l'ufficio studi Smi - è il primo paese di approvvigionamento, scende però al 18esimo posto come mercato di sbocco. «Il vero problema - aggiunge Paolo Bastianello - sta nella difficoltà, specie per i più piccoli, di aprirsi un varco stabile in un simile mercato. Sinceramente i prodotti no brand si basano sulla qualità e sulla conoscenza da parte degli acquirenti di determinate particolarità. E' difficile affrontare una piazza dominata da grandi industrie pubbliche». Come si fa a gestire una situazione di questo tipo? «E' davvero importante - chiarisce Bastianello - che con il nuovo anno Smi offra uno showroom a Shanghai che possa funzionare da piattaforma di sbarco dei nostri prodotti».
«Bisogna arrivare per davvero a un marchio made in Italy», è la provocazione di Amedeo Teti, direttore generale per la politica commerciale internazionale del ministero dello sviluppo. «I cinesi amano il made in Italy, ma a loro volta sanno che c'è del made in Italy fatto in Cina. Può senz'altro aiutare il nostro export offrire delle certezze, perché da parte dei cinesi c'è una grande disponibilità».
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26/09/2010
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