DEFAULT USA? PECHINO NON RIDE

Pechino, 26 lug.- Un fuoriprogramma, una deviazione rispetto all'agenda prevista proprio mentre a Washington le lancette continuano a marciare inesorabilmente verso il 2 agosto, la data di quello che potrebbe essere ricordato come il primo default nella storia degli Stati Uniti d'America: ieri il segretario di Stato USA Hillary Clinton è volata prima a Hong Kong e poi a Shenzhen, con l'evidente intento di rassicurare la Cina, il primo creditore del debito pubblico americano.
"Lasciate che vi rassicuri, comprendiamo perfettamente gli interessi in gioco - ha detto Clinton davanti a una platea composta dai vertici del business di Hong Kong presso l'hotel Island Shangri La - sappiamo quanto sia importante la questione, tanto per noi che per voi".
Hillary Clinton ha cercato di spiegare al mondo degli affari di Hong Kong, polmone finanziario della Cina, che il fallimento dei negoziati per l'aumento del tetto del debito pubblico USA rientra nella dialettica tra le forze politiche americane: "Questo genere di dibattiti rappresenta una costante nella storia della nostra repubblica, e a volte può destare confusione - ha detto il segretario di Stato -, ma è così che una società aperta e democratica arriva a risolvere i problemi. Sono sicura che il Congresso farà la cosa giusta e raggiungerà un accordo sul debito, lavorando con il presidente Obama anche per migliorare il nostro outlook fiscale di lungo termine".
Basteranno i riferimenti alla "democrazia" e alla "società aperta" a convincere il mondo del business cinese e, soprattutto, i vertici del Partito Comunista? Dopo la tappa a Hong Kong, nel pomeriggio Clinton si è recata a Shenzhen per incontrare Dai Bingguo, membro del Consiglio di Stato, uomo di punta della diplomazia di Pechino: i comunicati stampa riferiscono che nel vertice –informale, ma a porte chiuse - i responsabili degli Affari Esteri di Cina e Stati Uniti hanno convenuto sull'importanza "di promuovere la pace e la stabilità nel Mar Cinese Meridionale", ma è evidente che i riflettori sono tutti puntati sulla questione del debito pubblico statunitense.
La voce ufficiale si fa sentire per bocca di Xia Bin, membro della commissione monetaria della Banca centrale cinese, che ha minimizzato i rischi di breve termine sull'economia cinese: "Non bisogna preoccuparsi troppo - ha detto Xia ai reporter - gli Stati Uniti dovranno emettere più debito e più valuta. Non tradiranno l'interesse nazionale. Si tratta solo di un gioco politico".
Ma tra media e accademici, molti in Cina non mancano di evidenziare la gravità della situazione dall'altra sponda del Pacifico: "Anche se gli USA innalzano il tetto del debito, la Cina ha comunque da perdere" ha dichiarato Dong Xiaojun, professore dell'Accademia Cinese di Governance.
"Più titoli di Stato americani sul mercato abbasseranno il valore del dollaro, e quindi anche quello dei titoli esistenti di cui la Cina detiene un'enorme quantità - ha detto ancora Dong - siamo quindi intrappolati in un dilemma, perché se da un lato la Cina continua ad affermare di voler diversificare le sue riserve in valuta estera riducendo i titoli denominati in dollari, dall'altro, a causa della crisi dell'Eurozona e del rallentamento dell'economia giapponese, rimangono ben poche alternative. L'unico modo di ridurre il rischio per le nostre riserve nazionali consiste nell'apportare cambiamenti strutturali alla nostra economia, puntando maggiormente sulla domanda interna".
La stampa locale ha anche evidenziato le perdite registrate ieri sui listini cinesi in seguito al mancato accordo tra l'amministrazione Obama e il Congresso, con la Borsa di Shanghai che in chiusura aveva perso circa il 3%, segnando il peggior risultato dal gennaio scorso.
A Washington, l'amministrazione è paralizzata sulla rinegoziazione del limite alla spesa pubblica. Se entro il 2 agosto il Congresso non raggiungerà un accordo per innalzare il tetto, attualmente fissato a 14300 miliardi di dollari, gli Stati Uniti d'America dovranno dichiararsi insolventi. Un default che potrebbe "scatenare una profonda crisi economica, interamente provocata da Washington" ha detto Barack Obama, in un messaggio televisivo diffuso ieri in prima serata. E anche suscitare le ire del Dragone, che con titoli per un valore stimato pari 1200 miliardi di dollari, rimane il primo creditore estero degli USA.
di Antonio Talia
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