Roma, 15 ott. – Aveva chiesto trasparenza il premier Wen Jiabao con il decreto dello scorso 10 giugno, che imponeva alle province cinesi di indagare sull'ammontare del debito locale contratto dalle amministrazioni con le banche e fermare tutti gli atti di finanziamenti illeciti entro la fine del 2010. I risultati ufficiali sono arrivati in questi giorni: secondo il China Securities Journal, che cita fonti governative anonime, il debito totale accumulato dai governi locali al giugno 2010 raggiunge l'allarmante cifra di 7660 miliardi di yuan (815 miliardi di euro al cambio attuale), con "seri rischi", si legge nel rapporto, sulla restituzione del 26% dei prestiti. I risultati dell'indagine erano già stati anticipati qualche tempo fa dal battagliero giornale "Caixin", ma i funzionari pubblici avevano seccamente smentito.
Sebbene il problema del debito locale sia noto già da tempo al governo cinese (ne è testimonianza, oltre al decreto di Wen di giugno, anche il rapporto del 23 dello stesso mese fornito dal National Audit Office che parlava "di un fenomeno di vasca scala", e di "un pesante fardello"), in realtà il dato fornito dal Security Journal potrebbe essere addirittura rivisto al ribasso. Nei mesi passati alcuni osservatori stranieri avevano già evidenziato la pericolosità della situazione finanziaria locale cinese, fornendo statistiche contrastanti con la linea ufficiale: tra questi Victor Shih, economista della Northwestern University dell'Illinois, che aveva calcolato un debito totale pari a 11428 miliardi di yuan, ben lontano dal dato ufficiale allora fornito dal Ministeri delle Finanze che calcolava al mese di novembre 2009 un debito per 6mila miliardi, più vicino all'odierno dato del Security Journal.
È guerra di cifre dunque, ma c'è accordo circa la responsabilità di un tale indebitamento, legata alla nascita di una serie di compagnie semipubbliche, le cosiddette LIC (Local Investment Companies). Com'è noto, per fronteggiare la crisi mondiale, Pechino aveva varato nel 2008 un pacchetto di stimoli, per l'ammontare di 4mila miliardi di yuan, di cui però solo 1180 miliardi venivano forniti dal governo centrale, affidando il resto delle spese ai governi locali. Quest'ultimi, non potendo per legge raccogliere gli ingenti finanziamenti che la manovra governativa richiedeva, sono ricorsi alla creazione di compagnie intermediarie, le LIC per l'appunto, che risultando come semipubbliche (sebbene in molti casi i rappresentanti siano poi gli stessi funzionari locali) potevano chiedere prestiti alle banche per finanziare soprattutto imponenti progetti immobiliari, fornendo come garanzia il miglior asset in loro possesso: la terra, che in Cina è per legge di proprietà dello Stato.
Il pericolo è che l'insolvenza del debito contratto dalle LIC costringa lo Stato a risarcire le banche, o a vendere la terra impegnata, generando un enorme esodo degli abitanti delle zone sacrificate in onore del pareggio di bilancio. Dopo la corsa al credito dell'anno scorso quando, per fronteggiare la crisi, il governo ha spinto gli istituti di credito a erogare nuovi prestiti per la cifra record di 9590 miliardi di yuan (circa 1000 miliardi di euro), adesso in molti temono l'effetto che potrebbe avere l'eventuale scoppio di una bolla speculativa del settore immobiliare. Negli scorsi mesi il governo ha chiesto alle principali banche cinesi di effettuare stress test per simulare l'effetto che avrebbe sui loro crediti un eventuale crollo dei prezzi degli immobili fino al 60% dei valori attuali.
di Veronica Scarozza
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