di Eugenio Buzzetti
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Pechino, 10 dic. - Il Dalai Lama sarà a Roma dal 12 al 14 dicembre per partecipare al summit dei premi Nobel per la Pace, ma il suo arrivo sarà accolto dalle proteste di centinaia di manifestanti che chiedono libertà religiosa alla massima autorità spirituale tibetana, accusato di essere dietro una discriminazione nei confronti dei seguaci del culto Shugden, che affonda le radici nel diciassettesimo secolo. In un comunicato, i seguaci di Shugden spiegano che il Dalai Lama ha "forzatamente impedito ai praticanti di pregare la popolare divinità buddista Dorje Shugden" e che è "responsabile di una aggressiva campagna di persecuzione che colpisce milioni di praticanti in tutto, che genera molta sofferenza, la violazione dei diritti umani, sino alla segregazione".
A giugno scorso, circa 400 praticanti dell'ISC, l'International Shugden Community, avevano protestano contro il Dalai Lama a Livorno, quando aveva ricevuto la chiavi della città dal sindaco Filippo Nogarin. Il mese scorso, circa cinquecento persone si sono unite alle manifestazioni a New York, davanti al Manhattan Center, per protestare contro una discriminazione che secondo l'ISC si protrae dal 1996. "Il Dalai Lama deve porre fine alle sofferenze causate dal suo settarismo e dalla sua intolleranza religiosa", ha dichiarato di recente Nicholas Pitts, portavoce del gruppo, e accettare le richieste di dialogo, che si protraggono da diciotto anni. "Alzare le nostre voci in proteste pubbliche fuori dai luoghi in cui si svolgono gli eventi del Dalai Lama - spiega Pitts - è la nostra sola risorsa". I manifestanti Shugden, invece, "stanno causando un grosso danno alla più grande questione tibetana" secondo un comunicato di Savetibet.org dell'ottobre scorso, ripreso sul sito web della Central Tibetan Administration, il parlamento tibetano in esilio di Dharamsala.
Sulle proteste della comunità Shugden si è espressa di recente anche l'ambasciata cinese a Roma, che ha sottolineato come il movimento abbia preso corpo in diverse città europee, attirando l'attenzione dei media. "Il fenomeno è giunto ai media internazionali suscitando ampie polemiche i cui echi sono arrivati al cuore del governo tibetano in esilio", spiega in una nota la sede diplomatica cinese in Italia, che sottolinea l'esistenza di documenti consultabili on line anche su YouTube, "in cui vengono dimostrate in maniera chiara le discriminazioni portate avanti nella comunità tibetana in esilio contro i seguaci di Shugden".
Le proteste vengono invece definite come un evento "minoritario", invece, da Jean-Pierre Cabestan, direttore del dipartimento di Studi Internazionali e di Governo della Baptist University di Hong Kong. "Penso che sia una distrazione dalla storia principale - afferma ad Agichina - ovvero il fatto che il summit dei Nobel per la Pace sia stato spostato dal Sudafrica a Roma, perché il governo del Sudafrica non abbia voluto concedere il visto al Dalai Lama". A settembre scorso, il governo sudafricano aveva negato il visto al Dalai Lama per prendere parte al summit dei Nobel per la Pace, che si sarebbe dovuto tenere a ottobre a Città del Capo. Il rifiuto di concedere il visto all'autorità spirituale tibetana aveva attirato le critiche dei partecipanti che si erano rifiutati di partecipare in assenza della massima autorità spirituale tibetana, e provocato la cancellazione del summit, che si terrà, invece, a Roma, tra il 12 e il 14 dicembre prossimo. Nella capitale saranno presenti anche altri venti premi Nobel, oltre al Dalai Lama, che era stato insignito del riconoscimento nel 1989, ma non l'arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, che nelle scorse ore ha annullato gli impegni fino alla fine dell'anno per curare il cancro alla prostata di cui soffre.
"Di solito il Dalai Lama è una persona molto democratica - continua Cabestan - che cerca di andare incontro alle lamentele, molto premuroso. Non è più un leader politico, quindi non ha legami con queste cose. La gente ha il diritto di protestare - conclude lo studioso di Hong Kong - ma si tratta di qualcosa di molto minoritario". La polemica attorno al trattamento dei seguaci della setta Shugden si è intensificata a partire da marzo scorso, quando il parlamento tibetano in esilio di Dharamsala aveva passato una risoluzione secondo cui i seguaci dell'antico culto buddista non dovrebbero essere affiliati alle scuole religiose tibetane, attirando l'attenzione degli studiosi a livello internazionale. Quella nei confronti della comunità Shugden è una "persecuzione", secondo Robert Barnett, direttore del programma di Studi Tibetani Moderni della Columbia University. "I praticanti Shugden nelle comunità in esilio hanno affrontato la persecuzione", ha affermato a ottobre scorso in un'intervista a Public Radio International, affermando che la massima autorità spirituale tibetana "non ha affrontato molto bene" la questione.
10 dicembre 2014
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