Dal Dragone un sostegno, non la cura di tutti i mali
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Dal Dragone un sostegno, non la cura di tutti i mali

Dal Dragone un sostegno, non la cura di tutti i mali

L'ANALISI
di lettura
Francesco
Sisci Dopo i tanti vituperi subiti, dopo la folla di insulti da ogni foro, dopo i molti attacchi facili e sciocchi, sarà proprio la Cina a salvare l'Italia nel suo momento più difficile dai tempi della seconda guerra mondiale?
Questo sembra infatti emergere dalle voci e le notizie dopo l'incontro tra il capo del Fondo sovrano cinese, membro supplente del comitato centrale, Lou Jiwei, e il ministro dell'Economia Giulio Tremonti.
L'interesse generale cinese in questo possibile "salvataggio" è mediato. Si tratta di assicurare la solidità dell'euro. Il collasso dell'Italia e della moneta unica europea potrebbe essere uno degli elementi che innesca un nuovo pesantissimo crack mondiale.
Dopo la crisi del 2008 la Cina ha messo in pista una manovra di stimolo enorme che ha fatto superare al Paese i problemi globali quasi senza colpo ferire. Le conseguenze però sono state di un'economia che oggi è drogata, di un'impennata dei prezzi dell'immobiliare, di un accumulo di ricchezza nelle mani delle meno efficienti imprese di stato a dispetto delle più dinamiche imprese private.
Una nuova ondata di crisi sarebbe più pesante da sopportare. La Cina avrebbe meno risorse da mettere in pista e certamente le conseguenze complessive per l'economia reale di un secondo giro di stimoli potrebbe essere rischioso.
Salvare l'Italia oggi è anche un po' salvare la Cina, o almeno costruire un argine in più contro i disastri finanziari. Ma i soldi non sono tutto per i cinesi. Nei confronti dell'Italia c'è anche un investimento profondo e sentimentale. Lou andò in Italia la prima volta qualche anno fa per partecipare (con il sottoscritto e il direttore generale del ministero dell'Ambiente, Corrado Clini) a un dibattito al Festival di Comunione e Liberazione a Rimini. Per lui, come per tutti i cinesi che vanno in Italia, si trattava di un viaggio in quella che è considerata la culla della civiltà occidentale, il primo motore del processo di modernizzazione che sta toccando ora Pechino.
In concreto poi da anni i cinesi vedono possibili sinergie con l'economia dell'Italia in quasi ogni settore. Per quanto riguarda più precisamente Eni ed Enel, le due aziende a cui i cinesi sarebbero interessati, da molti anni l'Eni collabora con le aziende petrolifere cinesi. Oggi una partecipazione per esempio di PetroChina nell'Eni, oltre a portare fondi assolutamente necessari alle riarse casse italiane, potrebbe moltiplicare le opportunità di sviluppo per l'Eni stessa.
Ciò detto, però è improbabile che i cinesi comprino il controllo di grandi aziende italiane. A suo tempo Prodi aveva tentato di vendere la decotta Alitalia ai cinesi. Questi ci guardarono dentro e si spaventarono dal dover gestire i mille conflitti sindacali. Oggi mettere le mani, anche solo in parte, sull'Eni significa sconvolgere molti equilibri nella produzione di energia del mondo. I cinesi non vogliono andare in guerra con le celebri Sette Sorelle del petrolio per amore dell'Italia.
Così anche l'Enel sarebbe un tuffo nella giungla italica delle tariffe e della distribuzione di energia. Però non si possono escludere partecipazioni minoritarie in tali aziende o l'acquisto diretto di aziende minori. In ogni caso la Cina sarà molto prudente e probabilmente si limiterà all'acquisto di titoli di Stato. Secondo alcune stime la Cina avrebbe acquistato circa il 4% del debito pubblico italiano e potrebbe nelle prossime settimane e mesi salire.
Ma non è denaro importante per sé, né c'entra l'acquisizione di questa o quell'azienda. La presenza della Cina accanto all'Italia in questo momento terribile ha un valore strategico estremamente importante per il nostro Paese. La Cina con le sue quasi 3 migliaia e mezzo di miliardi di riserve rappresenta già da sola una barriera quantomeno psicologica contro i timori speculativi verso il debito pubblico italiano. Inoltre, questo voto di fiducia cinese può anche essere giocato davanti alla Banca europea, anche qui come forma almeno di pressione morale verso la Bce a non abbandonare l'Italia in questo momento, visto che anche la lontana Cina corre in nostro soccorso.
Inoltre la sola presenza di una possibilità di offerte cinesi sulle grandi aziende di stato italiano galvanizza l'offerta e salva in parte dalla possibilità di svendere tali aziende a prezzo di incanto. Il governo a chi vuole comprare oggi pezzi di aziende italiane può dire: i cinesi mi hanno offerto di più. Ciò quindi crea uno spazio politico nuovo per l'Italia per non rimanere impiccata a questo solo carro attuale. In tale modo l'Italia dovrebbe avere guadagnato tempo e margini di manovra.
Ma certo non può essere Lou o la Cina a salvare l'Italia. Se dopo la boccata di ossigeno cinese l'Italia non agirà rapidamente i problemi, che oggi appaiono più lontani, ritorneranno raddoppiati senza più alcuna Cina
a cui ricorrere.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

14/09/2011
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