Roma, 13 dic.- Sviluppo, relazioni internazionali, diritti umani e, come filo conduttore, la difesa dell'ascesa cinese: è un Dai Bingguo a tuttotondo quello che si concede in una lunga intervista apparsa sulle pagine del China Daily. "Non abbiate paura dello sviluppo della Cina" con queste parole il consigliere di Stato e numero uno della politica estera cinese rassicura la comunità internazionale invitandola a mettere da parte i timori e a cooperare con il Dragone perché "così come la Cina non può isolarsi dal mondo, il mondo non può ottenere prosperità e armonia senza la Cina".
"Le potenze straniere devono considerarci passeggeri di una stessa barca, una barca con cui navigare in pace e armonia il fiume, e in cui nessuno tenta di spingere l'altro in acqua". Lo sviluppo economico cinese, spiega Dai, non rappresenta un pericolo per le altre nazioni, che anziché intralciare i progressi del Paese dovrebbero offrire il loro sostegno. E il fatto che la Cina non costituisca un pericolo lo provano i cinque principi fondamentali su cui si fonda la politica di sviluppo economico incentrati sul raggiungimento del benessere comune, della pace, sulla cooperazione internazionale e sul progresso scientifico e sull'indipendenza economica. "La Cina - assicura ancora Dai – non farebbe nulla che possa nuocere agli altri".
L'intervista - che arriva alla vigilia dell'appuntamento annuale dei colloqui commerciali tra Cina e Stati Uniti fissato per il 14 e 15 dicembre a Washington - sembra essere una risposta indiretta alle critiche che negli ultimi tempi la comunità internazionale ha mosso a Pechino, accusato più volte di strumentalizzare alcune situazioni - dalle questioni monetarie (leggi questo articolo) all' incidente al largo delle isole Diaoyu, dalle terre rare alla crisi coreana -, in vista di uno sviluppo economico e della protezione dei propri interessi. Un obiettivo, sostengono molte nazioni occidentali, che fa persino scivolare in secondo piano la questione dei diritti umani, tema diventato rovente in seguito al conferimento del premio Nobel per la Pace a Liu Xiaobo (leggi questo articolo).
Ciò che ha generato tali 'dissapori' è, secondo Dai Bingguo, una ingannevole percezione dello status dello sviluppo cinese: "In 30 anni di politica di apertura la Cina ha compiuto molti progressi sia in campo economico che sociale. Molti considerano già la Cina un Paese industrializzato al pari degli Stati Uniti, ma ciò è sbagliato. E' vero che il nostro PIL, già forte, potrebbe crescere ancora, ma è anche vero che deve essere diviso per 1 miliardo e 300 milioni di persone" Diversa è la situazione se si guarda al PIL procapite, spiega Dai: "Con soli 3.800 dollari a persona la Cina si piazza al 104esimo posto al mondo, al di sotto perfino di alcuni stati africani. Secondo gli standard delle Nazioni Unite, oggi in Cina ci sono più di 150 milioni di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà, e 10 milioni di cinesi non hanno ancora l'elettricità". E al di là dei numeri, continua Dai, il fatto che la Cina non sia ancora sviluppata si nota soprattutto dal divario tra le città e le campagne dove lo squilibrio è più evidente. "La Cina è a tutti gli effetti un Paese in via di sviluppo". Ma non è questo a impedire al Dragone di esercitare la propria egemonia sugli altri Paesi, ma più che altro una questione ideologica: "Il Neocolonialismo non calza bene alla Cina" sostiene Dai secondo cui qualsiasi preoccupazione a riguardo è infondata. "Il rifiuto dell'egemonia è sancito dalla Costituzione cinese e dallo statuto del PCC". "Storicamente – continua il consigliere di Stato – non si ha memoria di tentativi di espansione da parte della Cina, e la situazione odierna non è molto diversa. Qualcuno sostiene che vogliamo sostituire gli Usa e dominare il mondo: una leggenda. Non abbiamo mai tentato di esportare il nostro modello politico, rifiutiamo la corsa alle armi e ci focalizziamo sullo sviluppo economico. Nulla di tutto ciò che facciamo fa pensare a una sete di conquista".
Poi Dai Bingguo si sofferma sul principio di "non interferenza" particolarmente 'caro' a Pechino: "Rifiutiamo con forza l'interferenza negli affari interni di una nazione, l'uso della minaccia o della forza". Ed è su questo aspetto che Pechino ha insistito molto sia rispetto alla richiesta di una maggiore rivalutazione dello yuan – in risposta alle pressioni degli Stati Uniti a cui la Cina non sembra voler cedere - sia sulla controversa assegnazione del Nobel al dissidente Liu Xiaobo, in carcere dal dicembre 2009 con l'accusa di aver tentato di "sovvertire" l'ordine dello Stato promuovendo il manifesto "Charta 08", un documento che invoca una riforma democratica in Cina e l'abolizione del regime a partito unico. Più volte Pechino ha lamentato l'interferenza della comunità internazionale in una situazione così delicata, accusando l'Occidente di schierarsi dalla parte di colui che, secondo la Cina, rappresenta una minaccia alla stabilità del Paese. Il riferimento di Dai alla questione del Nobel è chiaro: "Noi rispettiamo e salvaguardiamo i diritti umani. Possiamo incontrare alcuni ostacoli lungo il cammino, ma ciò non ci farà deviare da quello che è il nostro obiettivo di apertura e riforma".
Insomma l'ascesa cinese non deve preoccupare perché, secondo il consigliere, la via imboccata dal Dragone è lastricata di buon senso, "pace" e "armonia". "Siamo favorevoli alla risoluzione dei conflitti e delle dispute attraverso il dialogo e le negoziazioni al fine di trovare un terreno comune che appiani le differenze e metta tutti d'accordo", forse una risposta alle continue pressioni di Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud che spingono affinché la Cina, che non ha mai voluto commentare direttamente l'attacco dell'isola sudcoreana ad opera di Pyongyang, faccia sentire la sua voce ed eserciti la propria influenza in Corea del Nord (leggi questo articolo). E se è vero che per la questione coreana la Cina ha proposto una ripresa dei colloqui a sei per il disarmo nucleare - invito rifiutato da entrambe le Coree e dagli alleati di Seul Giappone e Stati Uniti -, è anche vero che la reazione di Pechino alla vicenda dell'arresto del capitano del peschereccio cinese entrato in collisione con due motovedette giapponesi al largo delle isole Diaoyu (leggi questo articolo), è stata proprio la sospensione dei colloqui diplomatici tra i due Paesi.
di Sonia Montrella
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