di Sonia Montrella
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Roma, 26 nov.- Pechino dice basta alle violenze domestiche presentando una bozza di legge che tutela le vittime e previene gli abusi. Il documento, il primo nel suo genere, è stato emesso dall'Ufficio di Affari Legislativi del Consiglio di Stato e verrà ora sottoposto al giudizio dell'opinione pubblica fino al 25 dicembre. Se otterrà il via libera, la bozza passerà nelle mani dell'Assemblea Nazionale del popolo per l'approvazione finale.
La legge rende più semplice per le singole persone o per le organizzazioni, scuole e asili denunciare un abuso – fisico o psicologico che sia – e ottenere un ordine di restrizione, che ad oggi è solo a discrezione del giudice, e che molti ignorano non conoscendo fino in fondo i propri diritti in materia. Le autorità devono fornire cure mediche e assistenza legale alle vittime e sostenerle in caso di divorzio nella divisione dei beni e nella custodia dei figli. Secondo la bozza, inoltre, i governi locali avranno a disposizione dei fondi per combattere le violenze tra le mura domestiche, mentre la polizia avrà l'obbligo di intervenire immediatamente in caso di denuncia. I colpevoli, poi, a seconda del reato, andranno incontro a una reprimenda o ad accuse criminali.
Un sondaggio effettuato nel 2010 da All-China Women's Federation, che ha già dato il suo parere positivo sulla bozza di legge, mostrava che in quell'anno il 33,5% delle bambine e il 52,9% dei bambini aveva subito maltrattamenti dai genitori.
In parte per motivi di imbarazzo sociale, il tema delle violenze domestiche è rimasto a lungo nell'ombra. Nonostante alcuni articoli contenuti nella Legge sul Matrimonio e in quella sulla Protezione dei Minori, le violenze domestiche restano un punto vago sul quale solo di recente il popolo cinese ha iniziato a esprimersi e a combattere. Complice la "sentenza spartiacque", come l'avevano definita i media, del divorzio avvenuto l'anno scorso tra l'americana Kim Lee e il celebre Li Yang, ideatore di Crazy English, un metodo non convenzionale di insegnamento dell'inglese. Dopo aver denunciato il marito e postato in rete foto che la mostravano con il volto e il corpo livido, Kim Lee ha presentato istanza di divorzio presso il tribunale Pechino, ottenendo sia il riconoscimento del divorzio sulla base della violenza domestica, sia il risarcimento dei danni previsto dall'art. 46 della Legge sul matrimonio. Una sentenza non scontata proprio per la tolleranza verso tale fenomeno e la consueta assenza di prove.
Secondo la legge criminale i familiari che abusano di un altro membro della famiglia potrebbero rischiare fino a 7 anni di prigione in caso di morte o di danni fisici gravi, ma non sono pochi i casi in cui il reato resta impunito o non viene denunciato affatto.
Ma se la legge rappresenta di sicuro quel passo in avanti che la Cina aveva bisogno di fare, per Chen Wei della Southwest University of Political Science & Law, nessuna normativa può sradicare quella convinzione sociale secondo cui un conflitto o litigio all'interno di una coppia non è una cosa da portare in un aula di tribunale. Non solo. Anche chi è chiamato a ristabilire l'armonia familiare spesso giudica inappropriato interferire nella sfera privata dei coniugi. Come Chen Wei la pensa Leta Hong Fincher, autrice di Leftover Women: The Resurgence of Gender Inequality in China, secondo cui i 30 giorni entro i quali bisogna denunciare il partner o il familiare per ottenere l'ordine restrittivo di 6 mesi è un lasso di tempo troppo breve. "Ci vuole un coraggio enorme per una denuncia contro un membro della famiglia".
26 novembre 2014
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