Pechino, 3 set.- Una rara occhiata dall'interno a quello che viene considerato uno dei segreti di Stato meglio custoditi dalla Cina: è quanto offre oggi il China Securities Journal, che descrive in un articolo la composizione delle riserve in valuta estera detenute dal Dragone. Secondo quanto raccontato da alcuni funzionari anonimi al quotidiano controllato dal governo, i 2450 miliardi di dollari di riserve accumulati nelle casse cinesi sarebbero costituiti in massima parte da titoli statunitensi (65%), seguiti a una certa distanza da bond europei (26%), sterline britanniche (5%) e yen giapponesi (3%).
Le "rivelazioni" del China Securities Journal sembrano rispecchiare da vicino le congetture espresse da numerosi analisti internazionali e confermano la Cina sul podio dei creditori statunitensi, nonostante alcune manovre alle quali si è assistito negli ultimi mesi, che sembrano indirizzate verso una minima diversificazione: quest'anno l'acquisto netto di debito giapponese da parte di Pechino ha superato i 1700 miliardi di yen, eclissando il record dei 255 miliardi del 2005; nei primi mesi del 2010 la Cina ha inoltre aumentato le proprie riserve di bond sudcoreani, portandole dai 1870 miliardi di won di fine 2009 agli attuali 2480 miliardi (circa 2.10 miliardi di dollari). Ma se l'acquisto di titoli di Seul è una mossa relativamente recente, che risale all'anno scorso, ai mercati internazionali non sono sfuggite le manovre sui Treasury Bonds americani, di cui Pechino si conferma il primo acquirente; secondo i dati più recenti, infatti, la Cina avrebbe leggermente ridotto gli acquisti di debito pubblico Made in USA dagli 894.8 miliardi di dollari dell'inizio dell'anno agli 843.7 miliardi di giugno.
Una riduzione che secondo i principali osservatori non va a sostegno di chi ipotizza un progressivo disimpegno cinese dal biglietto verde: da tempo, infatti, Pechino mostra una notevole prontezza nel modificare la propria strategia Forex in base alle convenienze del momento. I dati, inoltre, non sono sempre di facile lettura e quando a metà febbraio scorso era emersa la notizia che, secondo i calcoli USA, a fine 2009 la Cina aveva ceduto al Giappone lo scettro di primo creditore degli americani grazie alla vendita di bond per 34.2 miliardi di dollari, dopo poche settimane molti osservatori avevano puntato i riflettori verso quei titoli acquistati su piazze terze come Hong Kong o Londra il cui detentore finale rimane sempre e comunque Pechino: "Quasi certamente i dati in possesso del Tesoro americano costituiscono una stima al ribasso della reale entità di debito pubblico USA in possesso della Cina - aveva dichiarato durante un'interrogazione dell'US-China Economic and Security Review Commission Simon Johnson, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale e attualmente professore all'MIT - perché nel caso di titoli detenuti attraverso intermediari non è possibile stabilire con chiarezza quale paese sia effettivamente l'ultimo anello della catena. Una ragionevole ipotesi di lavoro è che attualmente la Cina detenga circa 1000 miliardi di dollari in Treasury Bonds, quasi la metà dello stock che Washington riteneva custodito nei forzieri di paesi stranieri alla fine del 2009".
Lo stesso China Securities Journal definisce una mera ipotesi un'ulteriore differenziazione verso la valuta giapponese "perché lo yen potrebbe diminuire di valore in ogni momento" e ipotizza una nuova impennata nell'acquisto di titoli USA a partire da settembre. Sia come sia, ad esprimersi contro un'eccessiva dipendenza dal dollaro arriva oggi ancora una volta una voce autorevole come quella di Hu Xiaolian: "Lo scoppio e la diffusione epidemica della crisi globale hanno messo in luce le debolezze e i rischi sistemici dell'attuale sistema delle valute internazionali - scrive la vicegovernatrice della Banca centrale cinese in un articolo pubblicato oggi su China Finance, magazine della PBoC - e dimostrano che una volta che una valuta diviene instabile si può assistere a rischi di svalutazione degli asset. L'adozione di un diverso sistema potrebbe essere pertanto determinante nel fondare una maggiore stabilità economica e finanziaria a livello globale". © Riproduzione riservata