Con redditi troppo diversi è difficile gestire i sacrifici
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Con redditi troppo diversi è difficile gestire i sacrifici

Con redditi troppo diversi è difficile gestire i sacrifici

MANUALE ANTICRISI - 30 / Retribuzioni e politiche anti-deficit
di lettura
Luca di Montezemolo e Warren Buffett sono ricchi e sono d'accordo: d'accordo sul fatto che chi è ricco deve pagare di più e se c'è bisogno di chiedere sacrifici per sanare i deficit - italiani e americani - i ricchi devono essere in prima linea nel contribuire a questi risanamenti.
Ogni crisi ha le sue pene, e le pene di questa crisi sono particolarmente dolenti. La ragione sta nel fatto che negli ultimi anni è cresciuta la diseguaglianza dei redditi, la differenza fra ricchi e poveri. Quando c'è più diseguaglianza la fisiologica rissa sulla ripartizione dei sacrifici sconfina nella patologia: l'elemento essenziale di successo di una manovra restrittiva - l'accettazione della sua necessità da parte della comunità - è messo in forse. Nella triade degli obiettivi della politica eonomica - stabilità, crescita, equità - l'equità è spesso il parente povero. Eppure è l'equità che alla lunga determina la tenuta e la capacità di crescere di un Paese: se non c'è coesione nel tessuto sociale - e non può esservi se questo tessuto è lacerato dalle diseguaglianze - il Paese è condannato al declino.
Ma perché è aumentata la diseguaglianza?
Il primo motivo è la globalizzazione. L'ingresso di miliardi di nuovi lavoratori nell'arena mondiale dell'economia di mercato ha portato a comprimere il costo del lavoro nei Paesi di antica industrializzazione: per competere con lavoratori che si contentano di un pugno di riso bisogna sì inventarsi qualcos'altro e innovare prodotti e processi, ma bisogna anche lavorare sui costi, ridurre la dinamica dei salari e talvolta, come è successo principalmente in Germania, strappare riduzioni di salario e/o aumenti di ore di lavoro ventilando la minaccia di portare le fabbriche altrove. C'è anche una globalizzazione che entra in casa nostra attraverso l'immigrazione. Solo in certe situazioni - il caso di Prato insegna - gli immigrati "portano via il posto di lavoro"; nella maggior parte dei casi fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare. Ma in tutti i casi la presenza di una forza lavoro immigrata che "si accontenta di poco" porta a un contenere le remunerazioni.
Il secondo motivo è la tecnologia: in una economia che è sempre più "economia della conoscenza" il sapere tecnologico porta vantaggi in termini di remunerazione e, simmetricamente, svantaggia chi questo sapere non ce l'ha e offre la sua opera nei piani bassi del mercato del lavoro.
Cè poi un motivo che vale per i Paesi emergenti ed è proprio a ogni processo di crescita. Possiamo equiparare questo processo a un fuoco che si accende nel camino. All'inizio tutto è freddo - tutti sono poveri. Quando il fuoco comincia a prendere - lo sviluppo decolla - la temperatura non aumenta in modo uniforme. Crescono, insomma, le diseguaglianze. È solo in uno stadio successivo, quando la legna brucia con costanza, che la temperatura sale e si fa più uniforme: le diseguaglianze diminuiscono, come la marea che fa salire tutte le barche.
Nella situazione italiana le tensioni legate alle diseguaglianze rendono di tanto più importante disegnare una manovra che non le aggravi. Il cammino parlamentare si incaricherà - è da auspicare - di correggere gli aspetti regressivi dei provvedimenti del decreto legge.
Ma è anche necessario, per chi sia pensoso dei destini del mondo, ricordare che, anche se le diseguaglianze dovessero crescere all'interno di ogni e qualsiasi Paese, questo non vuol dire che dette diseguaglianze crescano a livello del mondo intero. L'affermazione, apparentemente paradossale, può essere spiegata così. Prendiamo, ad esempio, la Cina. All'interno della Cina le diseguaglianze aumentano, ma se l'intera economia si espande, come si espande, a ritmi del 10% l'anno, anche i redditi degli svantaggiati crescono rapidamente ed escono dall'area della povertà. Supponiamo che il mondo sia un unico Paese e guardiamo all'andamento delle diseguaglianze in questa prospettiva. Il fatto che i Paesi poveri stiano crescendo più rapidamente dei Paesi ricchi implica, dato il loro immenso numero di abitanti, che le diseguaglianze nel "Paese-mondo" si riducono, malgrado il fatto che all'interno della Cina o dell'India cresca la distanza fra ricchi e poveri.
fabrizio@bigpond.net.au
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Nonostante alcuni progressi, rimane un importante divario tra le retibuzioni medie di uomini e donne nell'Europa a 27 (nel grafico, alcuni dei principali Paesi). In media, secondo gli ultimi dati Eurostat riferiti al 2009, le donne sono pagate il 17% in meno rispetto ai colleghi uomini. Le differenze più piccole si trovano in Slovenia, Italia, Romania, Belgio e Polonia (meno del 10%). Le più rilevanti invece in Estonia, Repubblica Ceca e Austria (più del 25%). Molte le cause: differenze tra uomini e donne nel ricorso al part-time, diverso atteggiamento dei dirigenti, sia nel privato sia nel pubblico, nei confronti degli sviluppi della carriera di uomini e donne e nei confronti dei congedi di maternità, etc.


Un ruolo importante è svolto dalla globalizzazione e dall'immigrazione: l'ingresso di nuovi lavoratori porta a comprimere il costo del lavoro. Decisivo anche il possesso di nuove tecnologie produttive

19/08/2011
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