Roma, 17 mar. - Zhongguo "Paese al centro": è questo l'antico nome cinese della terra del dragone, una centralità che per più di mille anni ha fatto della Cina il perno culturale ed economico del mondo asiatico. Oggi, dopo più di un secolo di retrocessione, la Cina, grazie alla sua inarrestabile ascesa economica, ha recuperato quell'antica centralità e sembrerebbe posizionarsi alla guida dell'economia mondiale, riscrivendone le regole. Se fino a qualche anno fa, infatti, il Paese rappresentava solo una piattaforma di produzione, di approvvigionamento ed esportazione, oggi, in seguito alla sua risposta repentina, efficace e vigorosa alla crisi finanziaria, si presenterebbe come un fattore di stabilizzazione dell'economia mondiale. Secondo il Fondo Monetario Internazionale il PIL cinese registra una crescita annua del 10%, rispetto ad una crescita delle economie avanzate del 2,4%. In continua evoluzione è anche lo scenario socio-economico: oggi il Dragone si classifica 127° per reddito pro-capite con 2940 dollari, un sedicesimo rispetto agli Stati Uniti. Secondo il Rapporto del CeSIF (Centro Studi per l'Impresa Fondazione Italia Cina) nel 2030 si assisterà ad un aumento di 413 mila consumatori benestanti provenienti dai Paesi emergenti, e di questi circa la metà saranno cittadini cinesi. In Cina il processo di trasformazione già in atto sta producendo un boom di consumi trainato sia dalla classe medio-bassa - con reddito annuo tra i 4000 e i 12 000 dollari - che vedrà una crescita dagli attuali 100-200 milioni a 500-600 milioni di persone nel 2020, sia dalla classe medio-alta - con reddito superiore ai 12 mila dollari - destinata ad espandersi dai 10 milioni ai 70-100 milioni. In particolare, i dati ufficiali dei consumi parlano di un rialzo su base annua del 15,7% nel 2008, con un ulteriore +17% nel 2009. Allo stesso modo le vendite al dettaglio sono cresciute del 21,6% nel 2008, con un ulteriore 17% nel 2009. Strettamente legato ai consumi è, inoltre, il fenomeno dell'urbanizzazione: alle 38 principali città cinesi - da sempre oggetto delle attenzioni commerciali delle aziende estere - si sommano più di 600 città emergenti che potranno rappresentare la prossima nuova sfida.
Ma come e dove investire in Cina? Se è vero che il mercato cinese offre moltissime opportunità, è anche vero che non tutti i settori rappresentano una valida alternativa. Investire in Cina non è sempre semplice a causa del massiccio protezionismo che tende a favorire le imprese di stato e a negare l'accesso - con leggi spesso non chiare - agli investitori stranieri; della concorrenza spietata e a causa di una domanda proveniente da una realtà ancora poco conosciuta.
Per avere successo sul mercato di massa cinese, le imprese dovranno adottare un approccio del tutto diverso ed innovativo che implicherà anche decisioni riguardo il management e la dimensione operativa. Un errore che molte aziende fanno è, infatti, quello di affidare il management a stranieri che vivono l'esperienza cinese come una breve parentesi e che lasciano l'incarico dopo pochissimi anni. Il consiglio è invece quello di scegliere manager con esperienze comprovate in Cina - meglio ancora se residenti sul territorio, a Taiwan o a Hong Kong - e in grado di conoscere ed interpretare la domanda dei cittadini cinesi.
Un'altra strategia efficace è quella di affidare ai manager maggiore potere decisionale, non solo riguardo gli stabilimenti cinesi ma anche riguardo le scelte che riguardano la società nel suo complesso. Questo potrebbe tradursi con lo spostamento in Cina degli headquarter che sovraintendono alle attività cinesi o asiatiche o nominare il responsabile della Cina tra i membri del Consiglio di amministrazione. Più in generale, per essere competitive le aziende straniere dovranno mantenere una produzione e una rete distributiva efficiente e a basso costo; investire verso il centro e verso l'ovest della Cina - dove il mercato non è ancora molto sfruttato e i costi sono ancora molto bassi-; essere flessibili; e, soprattutto, mantenere dei caratteri di differenziazione legati al branding, alla qualità e al processo di lavorazione del prodotto.
Per quanto riguarda la scelta del settore, i più promettenti sembrano essere il sanitario; il food & beverage; i beni di lusso; l'automotive; macchine utensili; energia ed elettricità e quello delle infrastrutture ambientali.
Il sistema sanitario cinese è molto precario. Negli ultimi anni, in caso di malattia, la spesa è stata sostenuta principalmente dai pazienti: rispetto al totale il contributo individuale di un cinese è aumentato dal 20% nel 1980 al 59% nel 2000, per poi tornare al 46% nel 2007. Somme troppo alte non solo per i cittadini più poveri ma anche per quelli di fascia media, tanto che la malattia oggi è la maggior causa di povertà in Cina. Il Governo ha attuato una riforma sanitaria il cui piano d'attuazione prevede una copertura universale del sistema di base; lo sviluppo di un sistema di farmaci essenziali; il potenziamento delle cure primarie a livello rurale; una riforma degli ospedali pubblici riguardante la gestione e il finanziamento; e infine il potenziamento della medicina preventiva. Con un tasso di crescita annuo previsto pari al 15-20%, quello sanitario sembra essere in assoluto il settore più fertile su cui puntare. In particolare, si dovrebbe investire in prodotti di fascia alta destinati a strutture ospedaliere, farmaci, e soluzioni a basso costo destinate alle strutture sanitarie di base.
Molto promettente è anche il settore del food & beverage per il quale è prevista una crescita annua del 10-15%. La crescente urbanizzazione, i redditi sempre più alti e l'influenza internazionale stanno modificando le dinamiche del mercato degli alimenti: qualità e igiene sono diventati infatti i nuovi must richiesti dagli utenti cinesi. In questo contesto la nuova frontiera è rappresentata dalle città emergenti che però sono caratterizzate da una domanda diversa che spesso richiede prodotti e marketing su misura. Se il mercato di massa è però abbastanza saturo e in gran parte dominato dai colossi Wahaha e Want Want, l'arma vincente sembra essere il mercato di nicchia rivolto a quei consumatori che spesso usano il prodotto straniero di qualità per ostentare il proprio status-symbol. E sono questi gli stessi consumatori che trainano anche il settore dei beni di lusso. Malgrado la crisi finanziaria, infatti, le vendite dei beni di lusso hanno registrato un aumento del 10-15% e le proiezioni promettono che, mentre la maggior parte delle potenze internazionali sono ancora sotto la morsa della crisi, la Cina sarà uno dei pochi mercati in crescita nel 2010. Una crescita costante che, secondo le stime, porterà il Paese a diventare entro il 2015 il più grande mercato per i beni di lusso, contribuendo ad un terzo circa delle vendite mondiali del settore. Mentre l'automotive e quello delle macchine utensili sono settori già ampiamente sfruttati, quello delle infrastrutture ambientali e dell'energia sembrano lasciare maggior margine di penetrabilità e di espansione. Con un consumo energetico pari al 15% di quello mondiale -secondo solo a quello degli Stati Uniti- il problema energetico sembra destare la maggior parte delle preoccupazioni del governo cinese. Dal 1 gennaio 2006 è, infatti, in vigore la Renewable Energy Law, che prevede un investimento di 180 miliardi di dollari in fonti rinnovabili affinché, entro il 2020, queste contribuiscano al 15% del consumo energetico del Paese. In particolare i progetti più ambiziosi riguardano il fotovoltaico e il biomassa con rilevanti obiettivi di crescita: 20 volte per il solare e 10 volte per il secondo. Nonostante le società cinesi stiano diventando competitive a livello globale, per le aziende estere già consolidate vale sicuramente la pena saggiare il territorio cinese, giocando la carta dell' ECO-friendly e puntando alla fornitura di attrezzature avanzate per i progetti di infrastruttura ambientale prestando particolare attenzione ai problemi del trattamento delle acque, delle acque reflue e dei rifiuti solidi. Da un recente studio è emerso infatti che il 53% delle acque dei principali fiumi cinesi non è potabile, a questi bisogna poi aggiungere un ulteriore 30% ritenuto non adatto ai fini industriali. Difficoltà di approvvigionamento esistono inoltre in 400 delle 600 città cinesi. Alla luce di ciò il governo ha varato appositi programmi di sostegno che prevedono, ad esempio, un investimento di 90 miliardi di RMB nel solo 2010 per il trattamento delle acque. Le opportunità per le aziende risiedono quindi non solo nel mercato idrico primario - nuovi impianti per il trattamento delle acque - ma anche in quello secondario - ammodernamento tecnologico per risolvere problemi di contaminazioni e perdite. Vantaggioso è anche il campo del trattamento delle acque reflue. Il tasso medio di trattamento nelle grandi città è pari al 43,8% mentre può scendere al 13,6% nei piccoli centri abitati. L'obiettivo del governo è quello di alzare la soglia al 60% entro il 2010 e a tale scopo ha stanziato 10 miliardi di RMB per finanziare questi progetti e attrarre capitali, tecnologie e know-how.
Più impervia è invece la strada per il trattamento dei rifiuti solidi. In Cina circa 350 milioni di cittadini producono in media 1,5 kg di rifiuti per persona al giorno, un dato destinato ad aumentare del 10% all'anno; mentre i rifiuti solidi industriali hanno raggiunto nel 2006 1,5 miliardi di tonnellate pari ad un aumento annuo del 10%. Nonostante il Governo si sia posto obiettivi ambiziosi, il cammino è costellato da diversi ostacoli rappresentati da un limitato numero di discariche; dalla carenza di sistemi di raccolta e di differenziazione dei rifiuti e dalla mancanza di tecnologie avanzate per il trattamento dei rifiuti solidi industriali. Le opportunità per le aziende italiane risiedono proprio nel rimuovere questi impedimenti.
di Sonia Montrella