CINA VUOLE LEADERSHIP GLOBALE

Milano, 09 nov. - Sono in molti a invocare in queste settimane un aiuto della Cina nei confronti della debole Europa e, a maggior ragione, dell'Italia: del resto quasi il 75% delle riserve monetarie del pianeta sono nelle mani dell'ex impero di mezzo. L'Occidente non ha tuttavia giocato in questi mesi le proprie relazioni con il Politburo nel migliore dei modi: molteplici sono state le occasioni in cui si è accusata la Cina di protezionismo, di non rivalutare il Renminbi favorendo così le esportazioni locali a discapito della competitività delle imprese europee e americanw, Improvvisamente – e improvvidamente – ci si aspetta ora un aiuto da chi si è pesantemente criticato, almeno fino a poco tempo fa.
Se è vero che questa posizione trova una sua legittimità nel fatto che l'Europa – prima area di esportazione delle merci cinesi – e gli Stati Uniti sono mercati chiave per i produttori cinesi, non è tuttavia ragionevole – e forse nemmeno auspicabile – un acquisto da parte della Cina di titoli di stato dei paesi in difficoltà. Tre sono le motivazioni che mi portano a formulare questa valutazione.
In primo luogo, l'Europa – che non difetta per presenza di capitali stranieri - non ha bisogno di capitali ma di credibilità (politica, finanziaria ed economica) e gli eventuali acquisti di fondi sovrani cinesi non risolverebbero comunque questo problema. D'altro canto, la Cina – insieme agli altri paesi emergenti – ha intrapreso una politica di sviluppo di relazioni commerciali volte a favorire un parziale decoupling rispetto alle deboli economie occidentali. Si sta creando infatti in Asia – nell'ambito dell'ASEAN (Association of South-East Asians Nations) – un'area di libero scambio i cui flussi commerciali già oggi valgono circa 400 miliardi di dollari e crescono ad un ritmo del 40% annuo (le esportazioni in Europa della Cina ammontano a circa 480 miliardi di dollari); si stanno via via consolidando le relazioni bilaterali nell'ambito dei BRICS: i recenti accordi della Cina con Brasile, Federazione Russa e India valgono ormai numerose centinaia di miliardi di dollari.
Vi è infine da considerare che la Cina non è come sembra. Il tasso di crescita dell'economia è stato nell'ultimo trimestre ancora superiore al 9% ma alcuni temi spinosi devono assolutamente essere affrontati dal governo di Pechino. L'economia cinese è "obesa": è, in particolare, ancora troppo dipendente dagli investimenti in infrastrutture e dalle imprese di stato, quando invece i consumi interni ammontano a solo il 35% del PIL (nel 1998 valevano il 48% del PIL). Peraltro, la pressione dell'inflazione – negli ultimi tre trimestri superiore al 5% - si sta facendo pericolosa e foriera di possibili tensioni sociali interne. Il dividendo demografico è infine negativo: si prevede che entro il 2030 circa un terzo della popolazione avrà 65 anni, troppo soprattutto in confronto all'India dove l'età media è oggi inferiore ai 25 anni.
In questo quadro, una sola cosa è certa e indiscutibile: i piani di austerity e la non azione di taluni paesi europei hanno creato gravi ripercussioni negative nell'economia mondiale. La Cina non può certamente permettersi che l'Occidente vada a picco – e probabilmente farà degli investimenti chiedendo in cambio una congrua contro-partita - ma deve guardare anche a se stessa. In particolare, oltre ad una focalizzazione interna - volta a: (i) incentivare processi di innovazione industriale e (ii) favorire la crescita della domanda interna, è molto probabile che gli sforzi cinesi si concentreranno, sul fronte esterno, in due direzioni: la penetrazione e il consolidamento di nuove aree di mercato (complementari ai tradizionali paesi occidentali) nonché alla creazione di catene lunghe di fornitura con una serie di paesi satellite. In altre parole, la Cina non sarà più e solo l'hub produttivo del mondo ma si configurerà come nodo centrale di un cluster industriale in cui Cina e, ad esempio, Vietnam, Malaysia, Indonesia, ecc. opereranno in una prospettiva di forte integrazione operativa. Dentro i confini domestici, l'attenzione sarà rivolta prevalentemente a produzioni a valore aggiunto; l'attività industriale realizzata con i paesi partner manterrà invece la focalizzazione sui bassi costi.
L'Occidente è dunque avvisato; la Cina potrà anche aiutare ma si sta attrezzando con sempre maggior consapevolezza per diventare il vero e indiscusso motore economico e politico del mondo.
di Giuliano Noci
Giuliano Noci è prorettore del Polo Territoriale cinese al Politecnico di Milano
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