Pechino, 14 gen. - Ormai è scontro aperto tra Google e la Cina, dopo che ieri il colosso del web aveva ventilato l'ipotesi di abbandonare la Grande Muraglia a causa di una serie di operazioni di hacking lanciate dal territorio cinese e come forma di protesta contro la censura su internet imposta dal governo di Pechino. Oggi su Google.Cn, la versione in mandarino del più importante motore di ricerca del mondo, è possibile accedere a immagini come quella dell'uomo che bloccò i carri armati in piazza Tiananmen nel giugno del 1989 o scaricare contenuti come i discorsi del Dalai Lama o le proteste del Falun Gong, un gruppo religioso messo al bando nel 1999. Google, insomma, ha effettivamente sollevato la censura sui contenuti sgraditi al governo come aveva annunciato ieri il vicepresidente e direttore dell'ufficio legale David Drummond, e sono in molti a scommettere che l'oscuramento del portale da parte delle autorità cinesi sia ormai solo questione di ore. Sull'altro fronte, la posizione di Pechino sembra chiara e il governo non pare intenzionato a cedere di un millimetro: mentre il quotidiano ufficiale China Daily bolla la minaccia di Google come una "strategia per mettere sotto pressione il governo cinese", in una dichiarazione online il ministro per l'Ufficio Informazioni del Consiglio di Stato Wang Chen, senza mai nominare direttamente il gigante web made in USA, ha messo in guardia contro "pornografia, frodi online e voci incontrollate", sostenendo che "il governo e i media su internet hanno il dovere di formare e indirizzare l'opinione pubblica". "In Cina internet è aperta, il governo incoraggia lo sviluppo della rete e le compagnie straniere che forniscono servizi internet sul web cinese sono le benvenute, purché rispettino la legge. La Cina, inoltre, vieta qualsiasi atto di pirateria informatica" ha detto la portavoce del ministero degli Esteri Jiang Yu. Dagli USA si fa sentire anche la voce dell'amministrazione Obama che, per bocca del segretario al Commercio Gary Locke, invita il Dragone a garantire un'atmosfera distesa per le compagnie americane che operano sul web cinese: "I recenti atti di pirateria informatica che Google attribuisce alla Cina creano problemi tanto al governo USA che alle corporation americane che lavorano sulla rete cinese- ha detto Locke- ma dovrebbero costituire un problema anche per il governo cinese stesso. Invitiamo la Cina a lavorare con Google e con le altre compagnie per ristabilire un clima favorevole al business". L'opinione pubblica appare divisa: ieri sera qualche decina di internauti cinesi ha reso omaggio al motore di ricerca portando fiori e candele sotto la sede di Google.Cn, a Pechino. Sui più popolari siti web cinesi sono apparsi numerosissimi commenti sfavorevoli: "Non sono un appassionato di mode che vengono dall'estero e amo profondamente il mio paese - scrive un internauta su Sina.com - ma il governo non può essere così eccessivo!"; "Chiedo a gran voce che Google rimanga - scrive un altro -, il governo non può essere così prepotente". Il quotidiano ufficiale Global Times cerca di gettare acqua sul fuoco in un editoriale che afferma che la chiusura di Google.Cn sarebbe una perdita tanto per la Cina che per Google stessa; ma molti altri navigatori web stanno brindando al blocco del portale, battendo la grancassa del nazionalismo: "Vanno via solo perché sono stati battuti da Baidu - si legge in un commento sul sito del Global Times - il nostro motore di ricerca in cinese che ha pesantemente sconfitto il leader americano. Adesso possiamo tornare a combattere sull'arena del mercato globale: questa storia dimostra che non c'è nessun campo in cui la Cina non possa battere l'America". Baidu.com, il principale motore di ricerca cinese, è effettivamente di gran lunga quello più cliccato dai circa 360 milioni di utenti internet del Dragone, attualmente il primo paese al mondo per numero di navigatori web: secondo Analysis International, infatti, il gigante tutto cinese detiene il 61% della quota di mercato, laddove Google.Cn si è ritagliato solo un 30%. Dopo l'annuncio di Google, i titoli del motore di ricerca hanno perso di valore su tutti i mercati (-1.4% al Nasdaq di New York ieri pomeriggio), consci dell'importanza economica del web cinese, mentre le azioni di Baidu hanno guadagnato diversi punti. Gli atti di pirateria informatica denunciati da Google risalgono al dicembre scorso quando, secondo gli americani, degli hacker provenienti dalla Cina si sarebbero introdotti nei server USA per leggere le caselle mail di alcuni dissidenti politici cinesi, rubando anche alcuni software e codici riservati protetti dalle leggi sulla proprietà intellettuale. Il web cinese è da sempre oggetto di uno stretto controllo delle autorità, che bloccano contenuti politicamente "sensibili" come quelli messi in rete oggi da Google.cn, ma anche piattaforme di blogging internazionali come Blogspot.com o Wordpress.com. Nel marzo scorso si è assistito a un ulteriore giro di vite della censura, col blocco totale di siti come YouTube, Facebook e Twitter, di cui esistono versioni Made in China sottoposte al continuo scrutinio di pattuglie di cyberpoliziotti stipendiati dal governo.