Pechino, 20 apr.- Reazioni imbarazzate da Pechino, ieri, dopo la notizia del declassamento del debito pubblico americano da parte di Standard & Poor's: gli unici commenti sono stati affidati a una breve nota del portavoce degli Esteri Hong Lei, pubblicata sul sito del ministero nella tarda serata di martedì dopo che lo stesso Hong aveva evitato di commentare la questione nell'abituale incontro con la stampa straniera.
"Abbiamo preso nota della mossa di Standard & Poor's - si legge nel commento -, il debito pubblico americano rappresenta un riflesso della fiducia verso il governo USA e costituisce un importante prodotto d'investimento per gli investitori istituzionali negli Stati Uniti e all'estero. Speriamo che il governo statunitense adotti al più presto politiche e misure responsabili per proteggere gli interessi degli investitori".
S&P's ha declassato l'outlook del debito pubblico americano da "stabile" a "negativo", attribuendo la manovra ai timori sul deficit fiscale americano. Ma mentre Giappone e Corea del Sud hanno subito manifestato il loro sostegno agli Stati Uniti, la Cina ha espresso a mezza voce una posizione più severa: con più di mille miliardi di dollari di Treasury Bonds custoditi nei suoi forzieri, Pechino è ormai da tempo il primo creditore di Washington. Diversi funzionari cinesi - incluso il premier Wen Jiabao - hanno richiamato l'America in merito al continuo aumento del debito e alla gestione del dollaro: solo lo scorso fine settimana il capo del fondo nazionale pensioni Dai Xianglong aveva dichiarato nel corso di un forum internazionale che il governo americano deve urgentemente ridurre il deficit fiscale e commerciale.
La risposta dopo il declassamento di ieri, tuttavia, è stata fredda ma cauta: i commenti di Hong Lei sono stati aggiunti successivamente alla trascrizione del briefing, dopo che il portavoce aveva evitato di rispondere alla domanda sulla situazione USA. Stesso atteggiamento è stato mantenuto dalla Banca centrale di Pechino e dalla State Administration of Foreign Exchange, la sezione di People's Bank of China che controlla le riserve forex di Pechino. Persino un acceso critico delle massicce riserve cinesi denominate in dollari come il professor Yu Yongding, ex adviser della Banca centrale, ha evitato ogni commento, dopo che la scorsa settimana non aveva esitato a definire i Treasury Bonds americani "un gigantesco schema di Ponzi" in un saggio pubblicato sull'autorevole rivista economica "Caixin".
Le ragioni di questa reticenza vanno probabilmente rintracciate nel dibattito in corso sulle riserve in valuta straniera detenute dalla Cina, che rendono l'argomento particolarmente delicato: "In futuro affronteremo la dura verità, cioè che le nostre immense non serviranno più a comprare nulla" aveva scritto lo stesso Yu Yongding nel suo articolo.
Nel primo trimestre del 2011 le riserve in valuta estera detenute da Pechino hanno raggiunto la quota record di 3044 miliardi di dollari, la maggior parte delle quali denominate in moneta USA. Alcune sezioni dell'establishment economico cinese sembrano particolarmente critiche sul continuo accumulo di debito pubblico estero, e statunitense in particolare. Il governatore della Banca centrale Zhou Xiaochuan ha dichiarato domenica scorsa che le riserve hanno ormai raggiunto livelli irragionevoli e che è necessario studiare nuovi strumenti d'investimento. Il dragone rimane legato al dollaro, e al momento non potrebbe fare altrimenti. Ma i segnali di insofferenza verso il biglietto verde aumentano.
di Antonio Talia
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