Cina, si resiste con la qualità
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Cina, si resiste con la qualità

Cina, si resiste con la qualità

Export. Il made in Italy in preallarme per i possibili effetti del rallentamento della crescita economica
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MILANO
«Sulla Cina stiamo entrando in una fase di riflessione». Giancarlo Losma, presidente di Ucimu (macchine utensili) e di Federmacchine, è in trincea, al lavoro, nell'azienda di Curno: deve assistere al sigillo di due container da quaranta piedi zeppi di macchinari destinati al Nord Italia e, guarda caso, alla Cina. Losma sfoggia un sano realismo: «Nei primi 8 mesi dell'anno nel mercato più grande del mondo abbiamo perso lo 0,4%, ma quella è ancora una piazza che assorbe il 12,8% del totale della nostra produzione di macchine utensili che, a loro volta, rappresenta un terzo dell'universo Federmacchine».
Le potenzialità della Cina di mantenere alti livelli di crescita si scontrano con rallentamento registrato negli ultimi tre trimestri. Che impatto avrà la frenata cinese sull'export italiano?
«Vista da qui, la situazione italiana non è così compatta - commenta da Pechino Davide Cucino, presidente della Camera di Commercio europea. In apparenza sembra che tutto fili liscio, non ci sono abbastanza elementi per capire se la situazione cinese si ripercuoterà in maniera più o meno stabile sui suoi partner commerciali. Per prodotti di alta fascia del made in Italy non vedo problemi».
«Se devo valutare il potenziale impatto di questo nuovo quadro di riferimento penso subito al sistema del legno arredo - commenta dall'Italia Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano. Perchè è il settore che più di altri sta cercando di tararsi sulla Cina cercando canali di vendita anche con proposte differenziate, a seconda del target. Al contrario, per l'alta moda non vedo segnali né pericoli di un cambio di marcia».
A distanza, arriva la replica di Roberto Snaidero, presidente di Federlegnoarredo. «Non fasciamoci la testa troppo velocemente - precisa Snaidero - in Cina esiste un ceto medio-alto al quale possiamo offrire i nostri prodotti di arredamento di alto livello. È un mercato, il nostro, che in Cina vale 60 milioni di euro e che non può che crescere, anche oltre l'8% della quota di export registrata dal settore».
«Per chi ha già attivato lo sbarco cinese è probabile che non ci siano conseguenze di sorta - avverte Michele Tronconi, presidente di Smi, Sistema Moda Italia - perchè il meccanismo rischia di andare avanti così come è partito. Piuttosto, c'è da pensare a chi non solo nella moda ma anche nel settore dei tessuti aveva iniziato a guardare alla Cina come mercato di sbocco individuando obiettivi tra i quali rientra una fascia media di consumatori che non è toccato da questi cambiamenti. Inoltre, per certi versi, la debolezza dell'euro favorisce le nostre esportazioni».
«Le prospettive di raffreddamento della crescita cinese non sono certo una bella notizia - commenta Marco Mutinelli, docente a Brescia, esperto di internazionalizzazione delle imprese - ma potrebbe scattare anche un possibile effetto indiretto: la triangolazione involontaria con i nostri competitor. Se noi, ad esempio, abbiamo registrato il 2-3% di export con la Cina la Germania può vantare il 15%. E anche noi esportiamo in Germania. Il pericolo è quello di un cortocircuito in cui sono i tedeschi a guadagnare. Staremo a vedere, se la frenata è congiunturale oppure no. Una cosa è certa: visto lo stato del nostro mercato interno, indietro non si può tornare».
© RIPRODUZIONE RISERVATA

10/12/2011
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