Roma, 29 set. – La Cina non è disposta ad accettare alcun aumento sul prezzo del ferro. A comunicarlo è la China Iron & Steel Association (CISA), influente associazione di categoria delle industrie siderurgiche che gioca un ruolo di primo piano nelle negoziazioni sul prezzo dei minerali ferrosi. La notizia, come un fulmine a ciel sereno, arriva proprio mentre il governo australiano sta valutando l'ipotesi di un aumento delle tasse sull'export delle risorse minerarie e la possibilità di introdurre una tassa sul carbone. Una mossa che non sembra convincere Mark Cutifani, capo della AngloGold Ashanti – terza azienda al mondo nell'estrazione dell'oro – il quale ha dichiarato che è "decisamente troppo presto" per parlare di prezzi, soprattutto sul fronte del carbone. L'eco della questione delle Minerals resource rent tax (MRRT), che ha già destato le preoccupazioni dei più giovani player australiani del settore minerario, è giunto fino in Cina dove il segretario generale della CISA Shan Shanghua, impegnato a Dalian in una conferenza sulle risorse minerarie e ferrose, ha fatto sapere che "le compagnie siderurgiche cinesi potrebbero non essere in grado di accettare l'innalzamento dei costi dovuto alle nuova tassazione". Shan ha poi aggiunto che "bisognerebbe fissare un tetto massimo entro cui far variare il prezzo dell'acciaio".
Immediata la risposta di Canberra: "Le MRRT non avranno alcuna ripercussione sul prezzo dei minerali e del ferro, in quanto si tratta di una imposta calcolata sugli utili tramite cui la comunità australiana trarrà beneficio solo quando i prezzi delle commodities globali raggiungeranno i più alti livelli" ha spiegato il ministro delle Risorse Martin Ferguson. I prezzi relativi alla grande esportazione continueranno a essere fissati in riferimento al mercato globale, "tenendo conto del rapporto tra la fornitura e la domanda, e sulla base di altri fattori quali la qualità dei minerali e la reperibilità" ha aggiunto il ministro. Ma la CISA non è l'unica a dubitare della validità delle MRRT: la comunità internazionale sembra essersi spaccata dal momento in cui, circa un mese fa, il presidente della BHP Billiton Marius Klopper, ha annunciato il suo supporto alla tassa sul carbone. Una "reazione istintiva del governo" così ha descritto la tassazione Andrew Forrest, presidente di Fortescue Metal Group. "La decisione sulle MRRT è assolutamente infelice - è stato invece il commento di Cutifani - così come infelice è anche la questione della tassa sul carbone verso cui sembra si stia muovendo il governo. Dovremmo essere propositivi e giungere a una soluzione più giusta per l'Australia, ma che al contempo funzioni bene anche sulla scena globale".
Intanto a Dalian, Shan Shanghua ha assicurato che quest'anno il valore delle importazioni di minerali ferrosi non supererà quello dello scorso anno. Attualmente la produzione domestica del Dragone si aggira attorno all'1,1 miliardi di tonnellate e a questi dovrebbero essere sommati altri 100 milioni di tonnellate generate dai rifiuti metallici previsti per quest'anno. "La Cina dovrebbe puntare di più sul riciclo al fine di diminuire la dipendenza dalle importazioni". Ma sulle dichiarazioni di Shan non sembra concordare il gruppo Rio Tinto: "Non è previsto alcun calo delle forniture nella nostra agenda - ha riferito Warwick Smith, direttore delle vendite e marketing della Rio Tinto -. Le importazioni cinesi sono rimaste allo stesso livello del 2009, ma forse sono addirittura aumentate". E non è l'unico punto sul quale CISA e Rio Tinto sono in disaccordo: dopo circa quaranta anni BHP Billiton Ltd., Vale Sa e Rio Tinto, i tre colossi del settore, hanno optato per un cambio di rotta rispetto al tradizionale metodo con cui vengo fissati i prezzi annuali dei minerali, adottando "contratti trimestrali" strettamente collegati con gli indici di valore delle risorse minerarie. Un metodo ingannevole in quanto, secondo Shan, "gli indici non riflettono il mercato reale, ma solo una piccola porzione del commercio dei minerali ferrosi che passa attraverso mercati a pronti".
Gli attriti tra la Cina e Rio Tinto sono di vecchia data: all'inizio dell'anno i due colossi hanno combattuto in tribunale una lunga guerra finita con un verdetto di colpevolezza per i quattro dirigenti del gigante minerario australiano accusati di aver percepito tangenti dai proprietari di alcuni stabilimenti siderurgici del Paese di Mezzo in cambio di forniture stabili di metalli ferrosi, necessarie per raggiungere le quote di produzione previste. Ma soprattutto il caso ha messo in luce le tensioni che dominano il mercato globale di questo tipo di commodities - di cui il Dragone è il primo acquirente al mondo. Secondo molti analisti quello dei metalli ferrosi costituisce un punto debole dell'enorme macchina industriale cinese, stretta tra la necessità di acquistare quante più risorse possibili per sostenere il suo vertiginoso sviluppo, e la frustrazione causata dall'impossibilità di strappare un prezzo speciale ai tre colossi del settore minerario.
di Sonia Montrella
© Riproduzione riservata