CINA LANCIA ESERCITAZIONI MILITARI NEL PACIFICO

Pechino, 24 nov.- "L'Esercito Popolare di Liberazione condurrà esercitazioni militari nell'Oceano Pacifico occidentale alla fine di novembre": il laconico messaggio apparso mercoledì sul sito del ministero della Difesa cinese è carico di sottintesi.
Per quanto i militari si sforzino di sottolineare che "si tratta di esercitazioni di routine, decise sulla base di un piano annuale" e che le grandi manovre non siano rivolte "a nessuna nazione o bersaglio in particolare", il tempismo di Pechino - a meno di una settimana dal lungo viaggio con cui Barack Obama ha rinnovato il dinamismo statunitense nel Pacifico - è più eloquente di qualsiasi comunicato ufficiale.
"Non temiamo la Cina, né cerchiamo di escluderla" aveva detto la scorsa settimana il Presidente degli Stati Uniti subito dopo la firma dell'accordo con il premier australiano Julia Gillard, con il quale si è deciso il dislocamento di una task force marittima americana composta da 2500 soldati che Camberra accoglierà entro il 2016 (questo articolo).
Ma le ultime mosse di Washington nel Pacifico comprendono anche la sigla di un trattato economico con 21 Paesi, il TPP (Trans Pacific Partnership), che prevede l'abbassamento delle tariffe doganali e la costruzione di quella che - con quasi 800 milioni di consumatori e il 40% circa dell'economia globale - diventa la più grande zona di libero scambio del mondo, ed esclude il Dragone (questo articolo)
Decisamente troppo perché dalle parti di Pechino non si ricominciasse a usare la parola "containment", la dottrina con la quale gli Usa tentarono di arginare l'ascesa sovietica nei primi anni della Guerra Fredda.
Il 2011 non è il 1947, la Cina in ascesa intrattiene rapporti economici strettissimi con gli Stati Uniti in affanno, e l'Oceano Pacifico non è diviso in due fronti come avveniva ai tempi della contrapposizione tra blocco sovietico e blocco occidentale.
Ma l'Oceano Pacifico, oggi, è anche il teatro di una complessa disputa geopolitica per il controllo delle riserve energetiche e delle rotte commerciali che vede coinvolti a vario titolo Vietnam, Filippine, Taiwan, Brunei e Malaysia, tutti impegnati a rivendicare contro la Cina la sovranità sul gas e il petrolio del Mar Cinese Meridionale.
Le stesse acque che il Dragone proclama spettargli di diritto.
A complicare ulteriormente la questione c'è l'ingresso dell'India, che pochi mesi fa si è affiancata al Vietnam per fornire ad Hanoi le tecnologie necessarie all'esplorazione, suscitando l'ira di Pechino. E, allargando l'obiettivo al resto dell'Oceano, ci sono anche tradizionali alleati degli Usa come Australia e Thailandia che avvertono sempre di più il fiato della Cina sul collo.
"La controversia tra le nazioni dell'area prosegue da anni - ha detto il premier cinese Wen Jiabao nel suo discorso ai leader ASEAN del 18 novembre scorso - e dovrebbe essere risolta attraverso consultazioni e discussioni amichevoli tra i Paesi coinvolti. Le forze esterne non devono entrare nella questione, con nessun pretesto".
Un chiaro messaggio per gli Stati Uniti, a qualche giorno dalle dichiarazioni del Segretario di Stato Hillary Clinton secondo le quali "per l'America il Ventunesimo Secolo è il Secolo dell'Oceano Pacifico" (questo articolo)
Negli ultimi anni gli Usa si sono trovati ad affrontare un attivismo cinese sempre più esteso. Nel dicembre del 2010 Washington ha reso noto che Pechino si è dotata di un potente missile balistico con una gittata di 3mila chilometri, capace teoricamente di affondare le portaerei USA. L'arma, che al Pentagono è stata ribattezzata "Ammazza-Portaerei", è capace di cambiare l'assetto dell'area del Pacifico, fungendo da dissuasione ad eventuali operazioni statunitensi nella zona.
Alla fine del luglio di quest'anno la Cina ha presentato la sua prima portaerei, diventando così la terza nazione asiatica - dopo India e Thailandia - a possedere il più imponente mezzo di difesa marittimo dei nostri tempi.
"Se gli Stati Uniti intendono restare ancorati a una mentalità da Guerra Fredda e continuano a trattare le nazioni asiatiche con arroganza, sono destinati a ispirare repulsione in tutta l'area" si legge in un editoriale recentemente pubblicato dall'agenzia di stampa di Stato Xinhua.
"Molti paesi si chiedono che tipo di 'leadership' l'America aspiri ad assumere nel futuro. La dura realtà è che l'Oceano Pacifico appartiene a tutte le nazioni che ne condividono le acque, e non solamente agli Stati Uniti".
A Washington, le esercitazioni cinesi di fine novembre difficilmente sembreranno "pura routine".
di Antonio Talia
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