Cina, l'industria meglio dei bond
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Cina, l'industria meglio dei bond

Cina, l'industria meglio dei bond

Geopolitica & mercati - LE STRATEGIE DEL COLOSSO ASIATICO
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Titoli pubblici di Stati sull'orlo del default? No grazie, meglio, molto meglio, asset industriali strategici per penetrare nei mercati europei. Pechino non ha molta voglia di correre in soccorso dell'Eurozona comprando i bond emessi dai suoi Governi o dal suo macchinoso fondo salva-Stati. Al di là delle dichiarazioni formali dei leader, ribadite anche in occasione del recente viaggio del cancelliere Angela Merkel a Pechino, la Cina ha sempre mostrato una certa freddezza a investire in questo modo le sue preziose riserve valutarie. E ieri tale ritrosia è stata formulata per la prima volta in modo esplicito in un editoriale del Quotidiano del Popolo. «Fin dall'inizio della crisi - recita l'articolo - abbiamo fornito un robusto sostegno all'Unione europea e all'euro, ma non abbiamo mai avuto alcuna intenzione di comprarci l'Europa».
L'editoriale arriva proprio alla vigilia del vertice tra Cina e Ue in programma oggi a Pechino. Quasi un invito alla delegazione di Bruxelles a non insistere ancora nelle richieste di salvataggio. Una posizione ribadita - proprio mentre il presidente della Commissione Manuel Barroso e della Ue Herman Van Rompuy sbarcavano nella capitale cinese - dal direttore di China Investment Corp (Cic), Lou Jiwei. «I bond dei Paesi europei non sono certo la scelta ideale per investitori di lungo termine come noi», ha detto il numero uno del fondo sovrano che ha in dotazione 410 miliardi di dollari. «Oggi solo le banche centrali possono permettersi di comprare titoli di Paesi come l'Italia o la Spagna», ha aggiunto Lou.
Le ragioni della prudenza cinese sono note. La prima: investire nel debito sovrano delle nazioni europee con i conti pubblici in profondo rosso è una mossa rischiosa. La seconda: sebbene la Cina custodisca nei propri forzieri circa 3.200 miliardi di dollari di riserve valutarie, non è in condizione di gettare soldi dalla finestra. La terza: l'opinione pubblica è contraria a un'operazione in cui la povera e laboriosa formica cinese si ritroverebbe a salvare la ricca cicala europea.
Ciò detto, Pechino non può permettersi di assistere inerte a un eventuale tracollo dell'Eurozona. Per una ragione altrettanto valida: la Ue è il suo principale partner commerciale, e la Cina ha già diversificato una quota rilevante del suo tesoro valutario in asset del Vecchio Continente (secondo le stime, oltre 600 miliardi di euro).
Ecco perché, alla fine, Pechino probabilmente lancerà un qualche tipo di salvagente. Gli interventi prospettati dal Governo sono sostanzialmente due. Il primo prevede la partecipazione (comunque cauta) a eventuali operazioni di sostegno ai Paesi europei in crisi sotto l'egida dell'Fmi, magari direttamente nel nuovo Fondo salva-Stati europeo. A condizione, però, che le nazioni coinvolte mettano in atto subito riforme per ridurre drasticamente il debito pubblico. Il secondo è un vecchio pallino di Lou. «China Investment Corp è interessata a investire in progetti infrastrutturali e industriali che potrebbero aiutare la ripresa delle economie europee», ha detto il direttore del fondo sovrano cinese.
Tradotto: piuttosto che comprare obbligazioni pubbliche, la Cina preferisce intensificare lo shopping sugli scaffali dell'economia reale. Proprio il Cic, alla fine di gennaio ha acquisito l'8,68% di Thames Water, la società britannica che gestisce la rete idrica e fognaria. Quasi negli stessi giorni, la cinese Sany Heavy Industry ha acquisito un concorrente tedesco nel settore delle costruzioni, Putzmeister, con un'operazione da 500 milioni, che fa seguito alla recente acquisizione dei produttori di macchine utensili Waldrich Coburg e Durrkopp Adler, sempre da parte di società cinesi.
Proprio la crisi dell'economia e delle finanze pubbliche di tanti Paesi dell'Eurozona facilita questo shipping, con gli Stati più indebitati impegnati in massicci piani di privatizzazioni per recuperare le risorse necessarie a rimettere sotto controllo i conti pubblici. Per questa via la Cina è riuscita a penetrare in uno dei settori strategici del Vecchio continente, quello dell'energia, con l'acquisizione di Energias de Portugal. Alla fine del 2011, la cinese Three Gorges Utility ha comprato il 21,5% della società pubblica lusitana, diventando il primo azionista del principale gruppo industriale portoghese: costo dell'operazione 2,7 miliardi di euro. Lisbona ha bisogno di far cassa in fretta per rispettare le clausole del piano di salvataggio da 78 miliardi promosso da Ue e Fmi. E soprattutto per non fare la fine della Grecia. Nel loro shopping, le aziende cinesi possono invece permettersi di largheggiare. Per Edp, la Three Gorges ha sborsato un prezzo del 53% superiore ai corsi di Borsa e ha inquadrato la proposta in un ampio piano di supporto all'economia portoghese che promette di arrivare a 8 miliardi di euro. Sbaragliata la concorrenza della tedesca E.on, che aveva a sua volta messo gli occhi su Edp.
Prima ancora era stata Atene a cedere pezzi alla Cina. Nella primavera del 2010 il porto del Pireo è finito preda del colosso della logistica Cosco, con un'operazione da 3,3 miliardi.
Nel mirino anche l'Italia: all'inizio dell'anno, il 75% del gruppo Ferretti, la casa romagnola di imbarcazioni di lusso, è passata alla Shandon Heavy Industries, con un'operazione da 374 milioni.
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14/02/2012
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