CINA INTERESSATA A BASI NELLE SEYCHELLES

CINA INTERESSATA A BASI NELLE SEYCHELLES

Pechino 13 dic.- Le Seychelles, noto soprattuto come paradiso turistico nel cuore dell'Oceano indiano, potrebbero diventare una nuova base operativa delle forze armate cinesi, sfidando oltre agli Usa (che qui hanno una base di droni) anche il vicino-rivale di New Delhi. Come rivela il Wall Street Journal il governo dell'arcipelago ha offerto a Pechino dal 2010 la possibilità di ospitare le navi da guerra impegnate nelle operazioni anti-pirateria nelle acque del Corno d'Africa, i rifornimenti e una base per aerei militari da ricognizione. Il ministro degli Esteri locale, Jean-Paul Adam, ha discusso dell'offerta questo mese con il ministro dell Difesa cinese, il generale Liang Guanglie.

 

Pechino ha già finanziato lo sviluppo di porti in Birmania, Bangladesh, Sri Lanka e soprattutto in Pakistan, ufficialmente solo per scopi commerciali ma un porto può ospitare indifferentemente mercantili e unità da guerra. La base nelle Seychelles allargherebbe la sfera di influenza di Pechino che ha con India, Vietnam e Filippine diverse dispute territoriali.

 

L'interesse di Pechino cade sulle Seychelles, e subito tra i vicini di casa monta il timore di un'egemonia cinese. Secondo quanto riferito dai media cinesi, Pechino sta seriamente prendendo in considerazione la proposta di Victoria di utilizzare alcuni porti dell'arcipelago come basi per il rifornimento per le navi mercantili. La presenza del Gigante asiatico sulle isole, sottolineano dal ministero della Difesa cinese, non deve però in alcun modo essere vista come un'ingerenza militare. La dichiarazione suona come una risposta alle voci che vedono Pechino in procinto di fondare alle Seychelles delle basi militari all'indomani  dell'accordo di cooperazione militare sottoscritto dai due Paesi nel 2004 e rinnovato proprio nei giorni scorsi. "La Cina non è assolutamente interessata ad avere basi militari all'estero" ha più volte ripetuto il Dragone nel tentativo di dissolvere i sospetti riguardo gli ambiziosi progetti sul piano internazionale della seconda economia al mondo. Tuttavia le parole di Pechino non sembrano rassicurare l'India che da tempo osserva con interesse e preoccupazione le mosse della Cina nella regione dell'Oceano Indiano, corridoio di navigazione strategico per la comunicazione tra l'Asia con l'Europa e il Medio Oriente.  Un timore, quello di Nuova Dehli, accresciuto dagli investimenti annunciati dal Gigante asiatico in diversi progetti di infrastrutture nei porti dello Sri Lanka, in Bangladesh e in Birmania.

 

Ad alimentare poi i sospetti riguardo l'intenzione di Pechino di farsi strada all'estero attraverso le armi, è arrivato nei giorni scorsi l'ordine a combattere rivolto da Hu Jintao alla Marina cinese. "E' necessario accelerare con forza la trasformazione e la modernizzazione della flotta. Preparatevi a combattere in modo da dare un maggior contributo alla salvaguardia della sicurezza nazionale e della pace mondiale" ha detto un esplicito Hu alle forze navali dell'Esercito di Liberazione Popolare (questo articolo).

 

Destinatario dell'appello, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama con cui la Cina si ritrova a lottare per  il controllo del Pacifico meridionale. Da tempo nelle sue acque agitate, e in particolare in quelle del Mar Cinese Meridionale,  Vietnam, Filippine, Malaysia, Taiwan, Brunei e naturalmente la Cina si sfidano per la sovranità territoriale delle Spratly e delle Paracel, arcipelaghi disabitati, ma ricchi di risorse energetiche. In questo scacchiere si inseriscono anche gli Stati Uniti che mirano a mantenere il libero commercio nella regione, ad accrescere la loro influenza nella regione tramite le alleanze con i vicini di casa del Dragone. Una presenza scomoda perla Cina che in più di un'occasione ha intimato agli Stati Uniti senza mezzi termini di stare fuori dalle questioni del Pacifico. Ultimo in ordine di tempo l'appello di un mese fa del premier Wen Jiabao (questo articolo). 

 

Ma Washington non sembra intenzionata a fare marcia indietro: "Per gli Stati Uniti il Ventunesimo Secolo sarà il secolo del Pacifico" ha detto Clinton qualche settimana fa all'apertura del vertice APEC (Asia- Pacific Economic Cooperation). Un attivismo  interpretato da osservatori - cinesi e non solo - come una forma di contenimento che Washington intende attuare nei confronti di Pechino. E il contenimento arriverebbe da un doppio fronte: economico, con la creazione della più grande zona di libero scambio di tutto il mondo,  e militare, con l'impegno siglato a Camberra di una  task force marittima americana composta da 2500 soldati (questo articolo).

 

Ora, alla luce delle ultime vicende, per i vicini della Cina, e in particolar modo per l'India, il rischio è che Pechino sia intenzionato a riproporre lo stesso scenario nell'Oceano Indiano.

 


Intanto dalle Seychelles fanno sapere che la presenza contribuirà ad accrescere l'impegno da parte cinese sul fronte anti-pirateria. Secondo quanto riferito dal ministro degli Esteri Jean Paul Adam, la Cina si sarebbe detta molto intenzionata ad accrescere il proprio ruolo nella lotta contro la pirateria nella regione. Dal 2008, infatti, i pirati somali hanno esteso il loro raggio d'azione dalle coste somale fino all'arcipelago delle Seychelles. Un fenomeno cui diversi Paesi, inclusa la Cina, hanno risposto con una campagna multi-nazionale contro i somali, utilizzando come base i porti dello Yemen, di Oman e del Gibuti.

 

di Sonia Montrella

 

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