Di Eugenio Buzzetti
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Pechino, 2 ott. - La Cia ha ritirato i propri agenti dall'ambasciata statunitense a Pechino dopo la sottrazione dagli archivi on line dell'Office of Personnel Management (Opm) dei dati di ventuno milioni tra dipendenti ed ex dipendenti del governo degli Stati Uniti. Per il furto dei dati informatici erano stati incolpati, anche se non ufficialmente, hacker vicini al governo cinese. La motivazione dietro alla scelta di ritirare il proprio personale dall'ambasciata in Cina, scrive il Washington Post, che ha dato la notizia, è la salvaguardia degli agenti: una comparazione tra i nomi presenti nei dati informatici dell'Opm con quelli che compaiono ufficialmente come personale dell'ambasciata Usa a Pechino potrebbe svelare l'affiliazione alla Cia dei nomi che ne restano esclusi.
Dalla Cia, scrive il quotidiano americano, non è arrivata una replica ufficiale alla mossa, ma il giudizio complessivo sul furto di dati informatici di dipendenti o ex dipendenti del governo da parte del direttore della National Intelligence, James R. Clapper Jr., smorza i toni della polemica. Il caso non costituisce un vero e proprio attacco, ha dichiarato al Senato ma, piuttosto, "una forma di furto o di spionaggio. Anche noi pratichiamo il cyberspionaggio - ha proseguito - E non siamo male". Clapper considera il furto dei dati informatici dei dipendenti governativi statunitensi come un "regalo" che continuerà a dare frutti per anni ai cinesi.
Il cyberspionaggio è il punto più controverso nei rapporti tra Cina e Stati Uniti. Durante la visita alla Casa Bianca del presidente cinese, a fine settembre, Xi e Obama si sono accordati a combattere reciprocamente il furto di dati informatici per fini economici, come nel caso della sottrazione di segreti industriali, anche se in molti hanno dubitato su un'effettiva applicazione pratica della promessa annunciata durante la conferenza stampa congiunta di venerdì scorso. Nelle settimane che hanno preceduto l'incontro tra Xi e Obama a Washington, gli Stati Uniti avevano minacciato la possibilità di sanzioni nei confronti della Cina per il furto dei dati dei ventuno milioni di dipendenti statunitensi, anche se la minaccia non è stata applicata. Proprio della possibilità di sanzionare la Cina per cyberspionaggio aveva parlato nei giorni scorsi Clapper, dandone un giudizio parzialmente in contrasto con la linea dura che in molti vorrebbero utilizzare nei confronti della Cina. "Penso - ha spiegato - che sia una buona idea ripensare al vecchio adagio secondo cui chi vive in una casa di vetro non dovrebbe lanciare pietre".
02 OTTOBRE 2015
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