Pechino, 08 feb. – La più grande scuola per aspiranti hacker ha chiuso i battenti. Lo affermano i media cinesi quest'oggi, anche se la data del blitz della polizia risale al novembre scorso. Il Black Hawk Safety Net - questo il nome della "scuola di hacker" on-line - offriva la possibilità di scaricare applicazioni per la pirateria informatica, tra cui il malware trojian, a 12000 soci VIP e a altri 170000 utenti registratesi gratuitamente. Inoltre, promuoveva corsi per apprendere i segreti dell'arte di violare gli account finanziari, con una quota di iscrizione che variava tra i 100 e i 2000 yuan. La sede operativa era localizzata a Xuchang, nella provincia dello Henan, Cina centrale, e l'intervento della polizia ha portato all'arresto di tre persone, al congelamento di beni per l'equivalente di circa 250000 dollari e al sequestro di 9 web server, 5 computer e altre attrezzature informatiche. La notizia apre – a scoppio ritardato – una nuova pagina del controverso dossier "Internet in China": nel mese di gennaio, Google aveva accusato Pechino di essere responsabile di alcuni attacchi informatici agli account di numerosi attivisti per i diritti umani e svariate compagnie commerciali e aveva ventilato l'abbandono del mercato cinese che, attualmente, con i suoi 384 milioni di internauti rappresenta il più grande "popolo della rete" mondiale. La Cina aveva affermato con forza la propria estraneità ai fatti, invitando il gigante americano a rispettare la legislazione cinese in materia di Internet. A questa prima querelle, si erano poi aggiunti il discorso di Hillary Clinton al Newseum, la partita di armi americane venduta a Taiwan, l'annuncio dell'incontro tra il Presidente Obama e il Dalai Lama, e, sempre presenti sullo sfondo, le polemiche su apprezzamento dello yuan e antidumping , in una complessa partita giocata su più piani tra il Dragone e l'Aquila statunitense. AgiChina24 ha chiesto a Gianluigi Negro, sinologo appassionato e studioso del web cinese, di commentare la notizia. "Senza dubbio, il tempismo con cui è uscita giustifica un collegamento al caso Google; al contempo, tuttavia, la reattività di Pechino dimostra come il problema dell'hackeraggio sia datato e ben noto alle autorità". Secondo Negro il tema va analizzato su due piani, quello internazionale e quello interno: sul primo versante il coniglio che, con un colpo da maestro, è uscito dal cilindro cinese avrebbe una funzione strumentale; a livello domestico, invece, evidenzierebbe lo sforzo delle autorità per armonizzare e rendere sicura la navigazione interna. "Come dimostrano le statistiche a cura del CNNIC – prosegue l'esperto – più del 50% dell'utenza cinese è stata vittima di virus e attacchi cibernetici, il che sottolinea la scarsa sicurezza del web cinese. La problematica dell'hackeraggio è un vero tema caldo, poiché il fenomeno è molto variegato e si differenzia in diversi settori, dall'e-commerce al social network; dai siti istituzionali alle e-mail personali; dal gaming on-line alla telefonia mobile." E non sarebbero soltanto gli esperti cinesi ad essere consapevoli e preoccupati per la sicurezza delle proprie strutture: " Di recente - conclude Negro - anche l'Accademia di Scienze Sociali norvegese ha definito la rete cinese una "rete di hackeraggio", anziché una struttura internet adeguata agli standard internazionali".