Pechino, 2 apr.- È una voce prestigiosa e rispettata, le cui parole hanno influenzato più di una volta politiche e mercati: è Cheng Siwei, economista e politico, ex vicepresidente della Commissione Permanente del Congresso Nazionale del Popolo e attualmente Dean della Scuola di Management della Chinese Academy of Sciences, che in un discorso alla celebre Università Fudan di Shanghai si è espresso a tutto campo sulla rivalutazione dello yuan e sulla dipendenza della Cina dai Treasury Bonds americani. "La Cina dovrebbe diversificare il suo portfolio di valute estere e ridurre la quota di asset denominati in dollari per gestire al meglio i rischi", ha detto Cheng. Pechino, com'è noto, possiede le più vaste riserve in valuta estera al mondo, che nel 2009 sono ulteriormente aumentate di 453 miliardi di dollari, raggiungendo quota 2400 miliardi. A marzo Yi Gang, a capo della SAFE (State Administration of Foreign Exchange), ha dichiarato che la maggior parte delle riserve è costituita da dollaro, euro e yen giapponese, senza fornire ulteriori dettagli sulla composizione; molti analisti, tuttavia, sono concordi nel ritenere che oltre il 70% della divisa straniera detenuta dal Dragone sia denominata in dollari statunitensi. Sul fronte della rivalutazione dello yuan, Cheng ha invitato a non politicizzare la questione, senza però mantenere la posizione di irremovibilità che ha caratterizzato la leadership cinese in questi mesi: "Leggo dossier secondo i quali un apprezzamento del 2% potrebbe uccidere l'industria tessile cinese, ma si sembrano francamente delle esagerazioni. Una fluttuazione del 3%, alle condizioni attuali, mi sembra accettabile, lasciando alla banca Centrale il potere di intervenire quando questi limiti venissero superati". "Potremmo espandere gradualmente la fascia di oscillazione e il tipo di valute, man mano che la fiducia e il controllo da parte del governo aumentano e, alla fine, rendere lo yuan una valuta completamente convertibile" ha detto ancora l'economista, senza sbilanciarsi sull'arco di tempo necessario per queste modifiche radicali, ma aggiungendo che l'obiettivo finale potrebbe essere raggiunto "nel giro di qualche tempo". La Cina, com'è noto, aveva disancorato lo yuan dal dollaro nel luglio del 2005, vincolandolo a un paniere di valute (del quale la composizione era rimasta sconosciuta), per poi ritornare al vecchio assetto nel luglio 2008, all'irrompere sulla scena della crisi globale. Da allora, le pressioni per una rivalutazione della moneta cinese - che USA e Ue ritengono sottostimata e in grado pertanto di garantire all'economia del Dragone un vantaggio sleale sull'estero - si sono moltiplicate: non più tardi del febbraio scorso, però, il premier Wen Jiabao aveva ribadito che lo yuan non è sottostimato, e che al momento Pechino non intende cedere alle pressioni esterne. Il 15 aprile prossimo, il tradizionale rapporto semestrale del Tesoro americano potrebbe bollare formalmente la Cina come una nazione manipolatrice di valuta, etichetta che potrebbe condurre all'applicazione di alcune ritorsioni commerciali. Secondo le indiscrezioni riportate dal magazine cinese "Caijing", Pechino sta valutando l'ipotesi di abbandonare l'ancoraggio con il dollaro a partire dal mese prossimo.