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L'economia cinese è in rapida espansione, le banche concedono ampi prestiti e i conseguenti aumenti nei costi della manodopera e dei materiali si riflettono nell'aumento dei prezzi al consumo. Ma le considerazioni di politica interna sembrano precludere qualsiasi possibilità di risposta assennata a questo problema, tra cui anche la rivalutazione del renminbi. I cinesi non aumenteranno il valore della loro moneta perché questo potrebbe danneggiare politicamente i grossi esportatori. E il governo resta riluttante ad aumentare i tassi d'interesse (nonostante lo abbia fatto due volte in meno di due mesi) perché un aumento dei tassi si ripercuote sui grossi investitori immobiliari. Pechino sta anche cercando di imporre limiti quantitativi al credito, ma i potenti creditori sanno come aggirare le nuove misure. I tentativi di imporre i controlli sui prezzi di alcuni prodotti agricoli falliranno inevitabilmente a meno che i politici non facciano qualcosa per far fronte alle pressioni della spinta inflattiva.
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È uno spettacolo edificante. Ma la "schadenfreude" non dovrebbe dare soddisfazione agli americani. La Cina potrà anche essere corrotta e incapace di effettuare scelte assennate a breve termine per far fronte all'inflazione, ma gli Stati Uniti la superano di gran lunga nella loro totale incapacità di affrontare i problemi a lungo termine. È bene ricordarsi, tuttavia, che i paragoni hanno i piedi d'argilla.
Paul Krugman
(Traduzione di Francesca Novajra)
© 2011 NYT DISTRIBUITO DA NYT SYNDICATE
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04/01/2011
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