CALO PREZZI CASE, SI TEME PER LA CRESCITA

Pechino, 8 nov. – Il calo dei prezzi del settore immobiliare registrato ad ottobre può minacciare la crescita economica della Cina; si tratta di un calo dello 0,23% complessivo rispetto a settembre che riguarda tutte le principali città cinesi. Potrebbe considerarsi un fattore positivo, se visto dalla prospettiva della politica governativa che da due anni porta avanti misure restrittive nel settore real estate per ammortizzare gli effetti della crisi finanziaria del 2008; ma, a questa rapidità, può compromettere la crescita interna del Paese, rivelano gli analisti, soprattutto se si considera che il 25% del PIL nazionale è riferibile proprio al settore immobiliare.

 

Nonostante gli avvertimenti lanciati da alcune agenzie di rating negli ultimi mesi, Wen Jiabao domenica scorsa ha riconfermato la direzione delle misure governative: "Vorremmo puntualizzare che non c'è alcuna possibilità di allentare le strategie operate nel mercato immobiliare. Il nostro obiettivo è quello di abbassare i prezzi delle proprietà a livelli ragionevoli".

 

Intanto i prezzi delle case hanno raggiunto nuovi minimi storici portando con sé tutta una serie di ripercussioni. Secondo una fonte anonima citata dal quotidiano finanziario cinese Caijing sono circa 3mila agenzie immobiliari ad aver chiuso i battenti nel 2011, lasciando disoccupati circa 50.000 agenti del settore.

 

Il manager della Geland Real Estate Co. Ltd. di base a Pechino, ha dichiarato di aver chiuso 50 dei suoi uffici dislocati nella capitale nel mese di febbraio; stessa sorte è toccata a 34 punti vendita sparsi su tutto il territorio nazionale della Century 21 Real Estate LLC; prossimi invece, la chiusura di 60 uffici e il licenziamento di 1.000 dipendenti del colosso dell'immobiliare Centaline Property Agency con sede a Shenzhen, una delle principali metropoli commerciali della Cina situata immediatamente a nord rispetto ad Hong Kong nella provincia del Guangdong.

 

Mentre il minaccioso tasso di indebitamento viene scongiurato e monitorato dalla politica governativa, Li Yan, esperto analista della China Chengxin International Credit Rating Co, rilassa i toni dicendo che il totale dei debiti dei governi locali e centrali si attesta al 43,6% del PIL, sotto quella soglia critica internazionale del 60%.

 

di Bianca Lazzaro

 

Cosa sta scuotendo il mattone cinese?

 

Da tempo il governo centrale di Pechino sta conducendo una battaglia per frenare gli aumenti dei costi delle abitazioni e per ridurre l'esposizione delle banche nei confronti dei costruttori. Le numerose restrizioni al credito applicate nei confronti del real estate avrebbero spinto gli operatori a cercare forme di finanziamento più rischiose e costose, inclusi bond offshore e trust companies operanti sul territorio nazionale.  L'agenzia di raging Standard & Poor's in un rapporto pubblicato il mese scorso aveva messo in guardia contro la situazione del credito del real estate del Dragone, definendola "sempre più seria".  A giugno S&P aveva declassato l'outlook del settore, portandolo da "stabile" a "negativo"; stessa conclusione alla quale erano giunti gli analisti di Moody's già nell'aprile scorso.

 

Il mercato immobiliare cinese è attraversato da un fenomeno al quale non si assisteva da tempo: dopo anni di rincari continui, secondo i calcoli di Samsung Securities Co., ad agosto in meno della metà delle 70 principali città cinesi si è registrato un incremento dei prezzi. CNBRC (China Banking Regulatory Commission), l'authority bancaria cinese, starebbe inoltre – secondo fonti anonime vicine alla questione - conducendo serrate indagini sui finanziamenti ottenuti dai costruttori attraverso le trust compagnie, nell'ambito di una più ampia valutazione dei prestiti nel settore immobiliare.

 

"Ma attenzione,- fanno notare gli analisti Samsung, ripresi da quelli di S&P - i prestiti versati dalle trust compagnie vengono abitualmente 'reimpacchettati' in prodotti finanziari e rivenduti agli investitori, e tali prestiti sono tipicamente sostenuti dagli stessi investitori o dalle stesse banche, e i tassi d'interesse variano tra il 10% e il 30%".

 

Uno schema familiare, sinistramente simile per certi versi a quello dei mutui subprime. Secondo S&P, tra le società maggiormente vulnerabili a un calo dei prezzi a causa della scarsa capacità di rifinanziare ampie quote di debito nel breve periodo ci sono Greentown China Holdings, SRE Group Ltd e Hopson Development Holdings.

 

Il real estate della Grande Muraglia, insomma, è nuovamente sotto osservazione. E desta preoccupazioni. Mentre tra aprile e giugno le scuri di S&P e Moody's avevano tagliato l'outlook, a marzo gli analisti di Fitch avevano addirittura concesso il 60% di possibilità a una crisi sistemica che dall'immobiliare si potrebbe diffondere al resto dell'economia entro il 2013. "Stiamo parlando di una crisi sistemica - aveva dichiarato a Bloomberg il senior director della sede londinese di Fitch Richard Fox -, qualcosa che coinvolge tutte le banche più importanti e, tecnicamente, de-capitalizza il sistema bancario".

 

Il mercato immobiliare cinese è da tempo in pieno surriscaldamento: a parte i risultati di agosto, nelle città di prima fascia - le più importanti - i prezzi delle proprietà sono raddoppiati nell'arco di cinque anni, e nel solo 2010 sono cresciuti del 18% in tutta la nazione. Fin dall'aprile dello scorso anno il governo ha lanciato numerose misure per contenere i continui aumenti, tra cui il divieto di acquisto di più di un appartamento in alcune metropoli, l'aumento obbligatorio degli anticipi da versare e alcuni esperimenti di tasse sulla proprietà. L'acquisto di una casa è ormai diventato proibitivo per la classe media, tanto da generare grosse tensioni sociali: "I prezzi degli immobili commerciali sono ancora ben lontani dagli obiettivi del governo e dalle aspettative dei cittadini - aveva detto il premier Wen Jiabao in un recente discorso al Consiglio di Stato -, alcuni governi locali non stanno applicando con decisione le misure di controllo decise dal governo centrale e i risultati devono essere ancora stabilizzati".

 

Le ragioni della corsa al mattone sono numerose, e vanno dal peculiare sistema con il quale sono gestite  le concessioni in Cina - in un complesso e spesso opaco intreccio tra costruttori e governi locali - fino alla mancanza di strumenti avanzati di investimento, che spesso costringono le famiglie a puntare tutto sull'immobiliare. Ma secondo molti osservatori una spinta decisiva, che ha formato una vera e propria bolla speculativa, si è manifestata nella stagione 2009-2010, quando le banche – per contrastare la crisi globale su impulso del governo - hanno concesso nuovi prestiti per 17500 miliardi di yuan (al cambio attuale circa 2024 miliardi di euro), gran parte dei quali sono andati a finire proprio nel real estate e in progetti infrastrutturali.

 

A complicare ulteriormente la situazione ci sono le LIC, acronimo che sta per Local Investment Companies. Si tratta di agenzie semipubbliche, veicoli finanziari – ai cui vertici siedono uomini di fiducia delle amministrazioni, quando non gli stessi funzionari locali - che hanno ottenuto credito dalle banche presentando come garanzia il più importante asset che possiedono: la terra, che in Cina è di proprietà dello stato. Secondo un rapporto della China Banking Regulatory Commission pubblicato dal settimanale Caixin nel luglio dello scorso anno, le LIC avrebbero ottenuto prestiti per 7660 miliardi di yuan (825 miliardi di euro, al cambio attuale), dei quali il 23% andrebbe ormai classificato come credito in sofferenza e il 50% avrebbe un esito "incerto". Secondo una stima indipendente del gruppo di ricercatori della Northwestern University of Illinois sotto la guida del professor Victor Shih, i prestiti concessi alle LIC ammonterebbero invece a più di 11mila miliardi di yuan (al cambio attuale 1273 miliardi di euro).

 

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