Shanghai, 27 ott. - Centinaia di proprietari di case protestano da giorni a Shanghai, infuriati per il drastico crollo nei prezzi degli immobili. I costruttori, colpiti dal calo della domanda e dalla stretta sui finanziamenti, hanno tagliato i prezzi di oltre il 20%, sollevando un'ondata di polemiche. Giovedì quasi 200 persone hanno assediato gli uffici vendite dell'agenzia immobiliare Greenland Group pretendendo un risarcimento.
È solo l'ultima di una serie di proteste che da quasi una settimana scuotono alcune zone periferiche di Shanghai, e in almeno un caso i manifestanti hanno dato seguito a un episodio di violenza prendendo d'assalto la vetrina di un'agenzia, riferisce lo Shanghai Daily. Il governo corre ai ripari: la municipalità di Shanghai ha imposto alle agenzie di segnalare l'eventuale riduzione del valore degli immobili alle autorità locali che però, secondo una fonte locale, non hanno il potere di impedire alle agenzie di tagliare drasticamente i prezzi.
La domanda nel mercato immobiliare è crollata dopo che il governo centrale, temendo il possibile scoppio di una bolla immobiliare, ha adottato diverse misure di contenimento dei prezzi quali l'aumento dei tassi di interesse, le restrizioni ai prestiti per i costruttori, e il divieto di acquisto della seconda casa. Si prevede che i prezzi delle case continueranno a calare fino alla fine dell'anno. Il governo centrale sta mettendo a punto un sistema di informazione sulle abitazioni private urbane che dovrebbe rendere superflue le restrizioni agli acquisti di immobili.
Cosa sta scuotendo il mattone cinese?
Da tempo il governo centrale di Pechino sta conducendo una battaglia per frenare gli aumenti dei costi delle abitazioni e per ridurre l'esposizione delle banche nei confronti dei costruttori. Le numerose restrizioni al credito applicate nei confronti del real estate avrebbero spinto gli operatori a cercare forme di finanziamento più rischiose e costose, inclusi bond offshore e trust companies operanti sul territorio nazionale. L'agenzia di raging Standard & Poor's in un rapporto pubblicato il mese scorso aveva messo in guardia contro la situazione del credito del real estate del Dragone, definendola "sempre più seria". A giugno S&P aveva declassato l'outlook del settore, portandolo da "stabile" a "negativo"; stessa conclusione alla quale erano giunti gli analisti di Moody's già nell'aprile scorso.
Il mercato immobiliare cinese è attraversato da un fenomeno al quale non si assisteva da tempo: dopo anni di rincari continui, secondo i calcoli di Samsung Securities Co., ad agosto in meno della metà delle 70 principali città cinesi si è registrato un incremento dei prezzi. CNBRC (China Banking Regulatory Commission), l'authority bancaria cinese, starebbe inoltre – secondo fonti anonime vicine alla questione - conducendo serrate indagini sui finanziamenti ottenuti dai costruttori attraverso le trust compagnie, nell'ambito di una più ampia valutazione dei prestiti nel settore immobiliare.
"Ma attenzione,- fanno notare gli analisti Samsung, ripresi da quelli di S&P - i prestiti versati dalle trust compagnie vengono abitualmente 'reimpacchettati' in prodotti finanziari e rivenduti agli investitori, e tali prestiti sono tipicamente sostenuti dagli stessi investitori o dalle stesse banche, e i tassi d'interesse variano tra il 10% e il 30%".
Uno schema familiare, sinistramente simile per certi versi a quello dei mutui subprime.
Secondo S&P, tra le società maggiormente vulnerabili a un calo dei prezzi a causa della scarsa capacità di rifinanziare ampie quote di debito nel breve periodo ci sono Greentown China Holdings, SRE Group Ltd e Hopson Development Holdings.
Il real estate della Grande Muraglia, insomma, è nuovamente sotto osservazione. E desta preoccupazioni. Mentre tra aprile e giugno le scuri di S&P e Moody's avevano tagliato l'outlook, a marzo gli analisti di Fitch avevano addirittura concesso il 60% di possibilità a una crisi sistemica che dall'immobiliare si potrebbe diffondere al resto dell'economia entro il 2013. "Stiamo parlando di una crisi sistemica - aveva dichiarato a Bloomberg il senior director della sede londinese di Fitch Richard Fox -, qualcosa che coinvolge tutte le banche più importanti e, tecnicamente, de-capitalizza il sistema bancario".
Il mercato immobiliare cinese è da tempo in pieno surriscaldamento: a parte i risultati di agosto, nelle città di prima fascia - le più importanti - i prezzi delle proprietà sono raddoppiati nell'arco di cinque anni, e nel solo 2010 sono cresciuti del 18% in tutta la nazione. Fin dall'aprile dello scorso anno il governo ha lanciato numerose misure per contenere i continui aumenti, tra cui il divieto di acquisto di più di un appartamento in alcune metropoli, l'aumento obbligatorio degli anticipi da versare e alcuni esperimenti di tasse sulla proprietà. L'acquisto di una casa è ormai diventato proibitivo per la classe media, tanto da generare grosse tensioni sociali: "I prezzi degli immobili commerciali sono ancora ben lontani dagli obiettivi del governo e dalle aspettative dei cittadini - aveva detto il premier Wen Jiabao in un recente discorso al Consiglio di Stato -, alcuni governi locali non stanno applicando con decisione le misure di controllo decise dal governo centrale e i risultati devono essere ancora stabilizzati".
Le ragioni della corsa al mattone sono numerose, e vanno dal peculiare sistema con il quale sono gestite le concessioni in Cina - in un complesso e spesso opaco intreccio tra costruttori e governi locali - fino alla mancanza di strumenti avanzati di investimento, che spesso costringono le famiglie a puntare tutto sull'immobiliare. Ma secondo molti osservatori una spinta decisiva, che ha formato una vera e propria bolla speculativa, si è manifestata nella stagione 2009-2010, quando le banche – per contrastare la crisi globale su impulso del governo - hanno concesso nuovi prestiti per 17500 miliardi di yuan (al cambio attuale circa 2024 miliardi di euro), gran parte dei quali sono andati a finire proprio nel real estate e in progetti infrastrutturali.
A complicare ulteriormente la situazione ci sono le LIC, acronimo che sta per Local Investment Companies. Si tratta di agenzie semipubbliche, veicoli finanziari – ai cui vertici siedono uomini di fiducia delle amministrazioni, quando non gli stessi funzionari locali - che hanno ottenuto credito dalle banche presentando come garanzia il più importante asset che possiedono: la terra, che in Cina è di proprietà dello stato. Secondo un rapporto della China Banking Regulatory Commission pubblicato dal settimanale Caixin nel luglio dello scorso anno, le LIC avrebbero ottenuto prestiti per 7660 miliardi di yuan (825 miliardi di euro, al cambio attuale), dei quali il 23% andrebbe ormai classificato come credito in sofferenza e il 50% avrebbe un esito "incerto". Secondo una stima indipendente del gruppo di ricercatori della Northwestern University of Illinois sotto la guida del professor Victor Shih, i prestiti concessi alle LIC ammonterebbero invece a più di 11mila miliardi di yuan (al cambio attuale 1273 miliardi di euro).
di Costanza Boriani e Antonio Talia
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