Big brand in rotta per la Cina
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Big brand in rotta per la Cina

Big brand in rotta per la Cina

Mercato globale. Uno studio Vontobel, la pià autorevole società di analisi del settore, traccia gli scenari per il futuro
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Monsieur Roger Dubuis, maestro orologiaio dal genio sopraffino, torna a casa. Torna nel quartier generale a forma di parallelepipedo della manifattura che ha fondato nel 1995 – dove gli è venuta l'idea di certificare con il prestigioso punzone di Ginevra tutti i calibri del marchio – dopo avere lavorato dal 2005 per altre maison. Nell'estate 2008 il controllo del brand era passato al colosso Richemont guidato da Johan Rupert, che oggi ha evidentemente ritenuto opportuno affidare al maestro ginevrino – tramite Georges Kern, Ceo del marchio – anche il ruolo di ambasciatore presso i maggiori esperti di alta orologeria del mondo.
Del resto, anche nel mercato orologiero, così come in quello più ampio del lusso, domina il processo di concentrazione. E i big del settore hanno le carte in regola per fare acquisti sia di risorse umane talentuose – indispensabili in un business di precisione come questo – sia di aziende con marchi propri o più semplicemente terziste di componenti, sempre più rare da reperire con il boom in corso delle vendite nell'area asiatica.
Ad esempio, il numero uno nel mondo del lusso, Lvmh, che con l'acquisizione di Bulgari sta cercando di insinuarsi tra i big player anche in questa categoria merceologica, ha da poco rilevato l'elvetica Artecad, leader nei quadranti. L'obiettivo è il rafforzamento della filiera produttiva, in modo da non essere dipendenti da eventuali sospensioni delle forniture: lo scorso giugno, l'Antitrust rossocrociato aveva imposto a Swatch Group di riprendere gli approvvigionamenti di componenti ad alcune industrie competitor, sospese unilateralmente secondo la stessa Commissione della concorrenza, mentre due mesi dopo si è acceso un faro anche da parte dell'Antitrust europeo per la stessa motivazione (ma il colosso di Nyon si dice fiducioso sulle risultanze).
Certo, per i marchi indipendenti competere con i poli plurimarca non è cosa facile. A fine settembre Richemont aveva in cassa 2,6 miliardi di euro, mentre Vontobel Equity Research ne stima 2,34 a fine anno per il Swatch Group capitanato da Nick Hayek jr. Cifre che, rileva l'analista specializzato negli orologi, «rappresentano il 19% dell'attuale capitalizzazione di Swatch Group e il 14% di quella di Richemont».
Insomma, anche se non c'è certezza che l'euforia sul mercato cinese proceda con la stessa impetuosa forza nel prossimo futuro, gli sforzi strategici dei maxi-gruppi e dei brand privati è tutta focalizzata su quel mercato: la quota della Grande Cina sul totale dell'export svizzero di orologi di lusso è balzata dal 16% del 2000 al 30% del 2011. E lo stesso mercato cinese vale per Richemont il 24% del fatturato e per Swatch Group addirittura il 34 per cento. Anche se i segnali di rallentamento potrebbero evidenziarsi a breve, almeno così sostengono gli analisti, le statistiche sulla penetrazione dello status symbol per eccellenza nei mercati emergenti indicano con chiarezza che la festa non è finita. Secondo Vontobel, vengono venduti 330 orologi svizzeri ogni mille abitanti, il record mondiale; seguono gli Emirati arabi con 285 e Singapore con 99. Subito sotto il podio ci sono la Francia con 34,8 e l'Italia con 31,5 mentre gli Usa sono appena undicesimi con 9,4 pezzi ogni mille abitanti.
Numeri elevati, calcolati in base agli abitanti, e influenzati dagli enormi flussi turistici: in particolare, a Hong Kong arrivano voli carichi di residenti nella Grande Cina che dribblano la tassa sul lusso che appesantisce i prezzi nelle città continentali.
Ma proprio Vontobel stima che il potenziale per l'industria elvetica degli orologi sia ancora elevato appunto in Cina, dove il tasso è di appena 1,6 orologi ogni mille abitanti, così come in Brasile (0,9) e in India (0,2). Ciò significa, insomma, che gli spazi di crescita sono enormi e che dunque le impennate del fatturato realizzate da tutti i big player del settore in Asia non sono da considerare un momento magico ormai superato.
Le stime di Vontobel indicano appunto che ci sarà un rallentamento delle vendite tra Hong Kong, Cina e Taiwan: le spettacolari impennate di oltre il 40% nel 2010 e di più del 25% in corso quest'anno saranno inevitabilmente seguite da una frenata. Ciò nonostante la crescita sarà a doppia cifra anche l'anno prossimo, trainata dalla fortissima eespansione dei negozi monomarca nelle città di seconda e terza fascia delle catene locali come Hengdeli ed Emperor: nel primo semestre 2011, il fatturato dei due retailer è cresciuto rispettivamente del 46 e del 48% (Hengdeli dal 2008 ha subìto un'unica flessione dei ricavi nel primo semestre 2009, mentre il competitor ha messo a segno solo incrementi). Su un'eventuale decelerazione potrebbe incidere l'aumento dei prezzi, cresciuti nel secondo trimestre 2011 e attesi in ulteriore incremento nel quarto, principalmente a causa dell'impatto negativo della forza del franco. Ma è possibile che ai nuovi consumatori asiatici questi ritocchi siano del tutto indifferenti.
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06/12/2011
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