Bene gli incentivi, ma manca una strategia
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Bene gli incentivi, ma manca una strategia

Bene gli incentivi, ma manca una strategia

INTERVISTA Matteo Colaninno «Serve una mappatura degli interessi nazionali»
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Emilia Patta
ROMA
«Gli incentivi? Esistono a tutte le latitudini economiche, da Washington a Pechino. Non farli significa assumersi rischi maggiori del costo stesso dell'incentivazione. Ma gli incentivi alla rottamazione delle auto non bastano: quello che è sempre mancato e manca in Italia è una strategia industriale globale che protegga meglio l'insieme delle filiere produttive». Matteo Colaninno, responsabile per il partito democratico di sviluppo industriale e finanza d'impresa, invita la politica e la classe imprenditoriale a guardare un po' più lontano: «Il mondo, e chi viaggia lo sa, sta andando molto lontano da noi. È urgente rafforzare le nostre piccole e medie imprese per aiutarle a restare in piedi in un momento in cui si sta ribaltando la geografia economica mondiale: l'Italia deve avere l'ambizione di ancorarsi al suo sistema produttivo e di rilanciarlo».
Dunque sì agli incentivi, ma non basta.
Per quanto riguarda le auto il discorso è semplice: se globalmente la capacità produttiva supera del 30-35% la domanda e se a livello sistemico si sono fatte scelte governative in favore di un settore considerato portante in molti paesi, a cominciare dagli Usa, non possiamo essere gli unici a comportarci diversamente. Gli incentivi insomma vanno bene, ma devono restare un fatto eccezionale. E comunque rivolti al consumatore e non direttamente all'azienda. Altrimenti perdono la loro capacità di stimolo della domanda.
Come rafforzare le piccole e medie imprese. Anche qui incentivi?
Quello che non è mai stato fatto da noi, a differenza che in altri grandi paesi europei come la Germania, è una mappatura degli interessi nazionali. Quello che manca, lo ripeto, è una strategia industriale globale. Il tessuto produttivo italiano è formato da piccole e medie aziende estremamente esposte alla concorrenza globale. Aziende che in questa crisi soffrono uno sbilanciamento patrimoniale tra capitale proprio e capitale di rischio.
Intervenire sulla capitalizzazione?
È la prima cosa da fare: introdurre un'agevolazione fiscale alla capitalizzazione delle imprese. Non parlo di utili reinvestiti ma di rafforzamento patrimoniale delle aziende. E si badi bene che la crisi non è settoriale né dimensionale: riguarda la piccola impresa come la General Motors. La discriminante è tra solidità e fragilità delle imprese. La seconda cosa da fare è aiutare a incentivare le aggregazioni tra imprese per crescere di peso, capacità di resistenza e continuità. È questa la richiesta-convinzione che arriva dal mondo imprenditoriale. È un problema anche culturale che investe le nostre aziende in un momento in cui molte famiglie imprenditoriali affrontano il ricambio generazionale. Il terzo punto riguarda le infrastrutture. Investire in infrastrutture pubbliche in prossimità economica delle piccole e medie imprese, grandi opere come piccoli cantieri, significa fare un investimento competitivo. Un volano per il paese.
Sì, ma...
Lei dirà: e dove li prendiamo i soldi?
Appunto. Ci sarebbero dei vincoli di bilancio.
Non stiamo dicendo adesso di abbandonare una strada che è la nostra.
E allora, tagli alla spesa?
C'è sicuramente un problema di contenimento della spesa pubblica. Ma non è solo questo. Si parla tanto di riforma fiscale, e abbassare le aliquote per tutti a cominciare dai ceti più deboli è una necessità. Ma non può che avvenire in un clima di riconciliazione fiscale, e questo vuole dire solo una cosa: tolleranza zero nei confronti dell'evasione fiscale. Si tratta di 100 miliardi di euro che ogni anno vengono sottratti alla competitività del Paese. Se a questi aggiungiamo i 50 miliardi di euro che ci costa all'anno la corruzione nella pubblica amministrazione, come ha ammonito la Corte dei conti, si raggiunge una cifra considerevole.
Lei si è detto contrario al tetto allo stipendio dei manager. Ma non crede che ci sia un eccesso di bonus e stock options?
La costruzione di piani di stock options e bonus con orizzonti temporali a breve sono una distorsione. Sono convinto che servano prospettive di più lungo periodo che avrebbero l'obiettivo di fidelizzare il management e di creare valore per tutti gli stakeholder dell'azienda.
Le regionali e oltre. Le primarie in Puglia hanno messo la parola fine all'alleanza Pd-Udc?
Ho la sensazione che le regionali porteranno per noi un risultato assolutamente accettabile: si può aspirare a un "pareggio". Quanto all'Udc, credo che per tornare al governo del paese dovremo convincere anche una parte dell'elettorato moderato. La costruzione di un'alleanza con Casini resta dunque fondamentale. Ma va detta una cosa: le alleanze sono sì importanti, ma solo se si innestano su una colonna vertebrale fatta di programmi e capacità concrete. Dobbiamo essere credibili. Tanto nelle leadership quanto nel nostro lavoro.
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31/01/2010
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