AUMENTO MILITARI USA NEL PACIFICO, IL GELO DI PECHINO

AUMENTO MILITARI USA NEL PACIFICO, IL GELO DI PECHINO

Pechino, 16 nov.- "Intensificare ed espandere le attività militari potrebbe non essere molto appropriato, ed è una mossa che non rientra nell'interesse delle nazioni di questa regione": mercoledì Pechino è stata fulminea nel rispondere all'annuncio congiunto da Camberra di Barack Obama e del premier Julia Gillard, che qualche ora prima avevano comunicato un aumento delle truppe americane dislocate in Australia.

 

"La regione" cui fa riferimento il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino Liu Weimin è ovviamente il Pacifico che - tra il vertice Apec (Asia- Pacific Economic Cooperation) chiuso a Honolulu domenica scorsa e le visite di Obama in Australia e di Hillary Clinton a Manila in corso in questi giorni - sta assistendo a un rinnovato dinamismo americano.

 

"Per gli Stati Uniti il Ventunesimo Secolo sarà il secolo del Pacifico" aveva detto Clinton la scorsa settimana all'apertura del vertice, ma molti osservatori - cinesi e non solo - interpretano questo attivismo come una forma di contenimento che Washington intende attuare nei confronti di Pechino.

 

Nel corso del summit Apec i 21 Paesi riuniti nell'Asia - Pacific Economic Cooperation hanno detto sì alla creazione della TPP (Trans Pacific Partnership), un accordo che prevede l'abbassamento delle tariffe doganali e la costruzione di quella che - con quasi 800 milioni di consumatori e il 40% circa dell'economia globale - diventa la più grande zona di libero scambio del mondo. Nato nel 2005, il TPP era all'epoca solamente un oscuro accordo economico siglato tra Brunei, Cile, Nuova Zelanda e Singapore che ha ricevuto un nuovo, inaspettato, impulso nel 2008 con l'ingresso degli Stati Uniti, che hanno invitato diverse nazioni della regione a partecipare. "La Cina sosterrà qualsiasi tentativo di promuovere una zona di libero scambio nell'Asia Pacifica e il raggiungimento degli obiettivi di integrazione economica regionale sulla base dell'East Asia Free Trade Area, the East Asia Comprehensive Economic Partnership e del TPP" ha dichiarato al forum il presidente cinese Hu Jintao. Ma per molti commentatori cinesi è difficile non vedere nella TPP un tentativo di accerchiare la Cina - che per ora non partecipa all'accordo - con una manovra a tenaglia.

 

E se la TPP potrebbe configurare un accerchiamento economico, i viaggi e le parole di questi giorni di Obama e Clinton rappresentano il contenimento militare. Secondo il piano illustrato da Obama e Gillard, entro il 2016 l'Australia ospiterà una task force marittima americana composta da 2500 soldati. "Non temiamo la Cina, né cerchiamo di escluderla" ha detto Obama mercoledì.

 

Il Presidente degli Stati Uniti ha lodato l'ascesa pacifica cinese e l'impresa con la quale la Cina ha liberato milioni e milioni di persone dalla fame e dalla povertà.  "Ma con la sua ascesa la Cina deve affrontare nuove responsabilità - ha detto Obama - ed è importante che la Cina giochi secondo le regole. Se Pechino lo farà, riconoscendo il suo nuovo ruolo, questo sarà di beneficio a tutti. Tuttavia, in alcune occasioni Pechino potrebbe non giocare lealmente, e noi invieremo un chiaro messaggio ai cinesi per far comprendere loro che devono accettare le regole e assumersi le responsabilità che spettano a una grande potenza mondiale".

 

E mentre Obama affermava di non avere paura della Cina, dalle Filippine il segretario di Stato Usa Hillary Clinton ribadiva l'impegno americano a fianco di Manila. "L'opinione degli Stati Uniti è che le tensioni in corso nel Mar Cinese Meridionale, in primo luogo tra Cina e Filippine, debbano essere risolte pacificamente - ha detto Clinton -, l'America non prende posizione sulle dispute territoriali. Ma nessuna nazione ha il diritto di affermare i propri diritti attraverso l'intimidazione".

 

Il Mar Cinese Meridionale è al centro di una complessa disputa territoriale che vede coinvolti Cina, Vietnam, Filippine, Taiwan, Brunei e Malaysia, tutti impegnati a rivendicare in tutto o in parte le acque intorno alle Isole Paracel e alle Isole Spratly, un pugno di scogli disabitati ma - secondo diverse esplorazioni- ricchi di risorse energetiche. La Cina proclama la sua sovranità sull'intero Mar Cinese Meridionale, e tenta da tempo di gestire le controversie una per una con i singoli stati, anziché impegnarsi in negoziati multilaterali.

 

Negli ultimi mesi una serie d'incidenti ha nuovamente riacceso le dispute. Il 9 giugno scorso Hanoi aveva denunciato la condotta di una nave cinese, colpevole –secondo la versione fornita- di avere sconfinato nel tentativo di tranciare i cavi di esplorazione posti ad alta profondità da una nave vietnamita. Rimasto intrappolato, l'equipaggio cinese aveva richiamato sul posto altre due navi di Pechino, che avevano circondato la nave vietnamita.

 

All'inizio di marzo si erano verificati incidenti simili con le Filippine: una nave che stava conducendo esplorazioni in un'area contesa nella Reed Bank, al largo delle Isole Spratly, era stata circondata da due imbarcazioni militari cinesi; Manila aveva reagito inviando alcuni aerei nella zona. Le Filippine hanno lamentato negli ultimi mesi almeno cinque sconfinamenti, e sia Manila che Hanoi hanno espresso lamentele formali all'ONU.

 

L'ultimo episodio di tensione tra Manila e Pechino è avvenuto lunedì, quando le Filippine hanno respinto le pretese cinesi su una linea di 50 miglia di isole. A luglio la Cina aveva denunciato i piani delle Filippine per reclamare i diritti di esplorazione dei giacimenti di gas nelle acque al largo della provincia di Palawan, affermando una volta di più la propria sovranità sulla zona.

 

Gli Stati Uniti, in definitiva, vogliono confermare il loro ruolo centrale sullo scenario Pacifico nonostante l'ascesa cinese. E tutti gli avvenimenti degli ultimi giorni sembrano definitivamente confermare la fine del "Secolo Atlantico" e il progressivo disinteresse di Washington per l'Europa.

 

di Antonio Talia

 

 

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