Pechino, 2 mar.- In Cina città e campagne non sono mai state così distanti, e ben 13 diversi giornali partono all'attacco delle politiche del governo sui permessi di residenza. I dati diffusi oggi dall'Ufficio Nazionale di Statistica di Pechino mostrano come nel 2009 il reddito medio di un residente urbano si sia attestato a quota 17.175 yuan (circa 1800 euro) contro i 5153 yuan percepiti da un abitante delle zone rurali, un rapporto di 3.33 ad 1 che segna la più ampia disparità mai registrata dal 1978, l'anno in cui vennero varate le prime riforme economiche. Le differenze nella ricchezza tra città e campagne costituiscono da anni una delle maggiori preoccupazioni della leadership di Pechino, che vede nel riequilibrio tra le zone costiere più industrializzate e l'interno della nazione una delle chiavi per mantenere la stabilità nel paese ed evitare disordini sociali. Da tempo il governo ha annunciato diverse riforme per fronteggiare la situazione, ma se è facile prevedere che l'argomento sarà al centro della prossima Assemblea Nazionale del Popolo –sorta di "parlamento con caratteristiche cinesi" che si riunirà il 5 marzo-, la posizione insolitamente dura assunta da una parte della stampa ha suscitato la sorpresa di molti: un editoriale pubblicato ieri in contemporanea su 13 diversi importanti quotidiani locali chiede a gran voce l'abolizione delle restrizioni ai permessi di residenza. L'hukou, questo il nome in cinese del sistema attualmente in vigore, è un potente strumento di controllo sociale lanciato 50 anni fa da Mao Zedong per evitare che i contadini delle zone colpite dalla carestia successiva al "Grande Balzo in Avanti" si muovessero verso le zone più ricche. Il regime prevede che il cittadino che rimanga vincolato al luogo di nascita per ottenere servizi come l'istruzione gratuita o l'assistenza sanitaria; cambiare hukou da una città all'altra è tecnicamente possibile ma estremamente difficile: una limitazione che non ha impedito a milioni di cinesi delle aree rurali di spostarsi verso le città per lavorare come operai nelle fabbriche o nei cantieri, generando, di fatto, un'immensa classe di cittadini di serie B privi di alcuni diritti fondamentali. I non residenti dotati di un'istruzione superiore - o di un portafogli pieno- riescono a beneficiare di alcune eccezioni o ad attuare diversi stratagemmi per aggirare le norme; tutti gli altri, in caso di perdita del lavoro, vengono forzati a rientrare nel paese d'origine. Il problema era tornato agli onori delle cronache il mese scorso, con la chiusura di 20 scuole non autorizzate che a Pechino impartivano un'istruzione a quasi 6mila figli di immigrati originari delle campagne, ma la presa di posizione dei media a pochi giorni dall'Assemblea Nazionale del Popolo suona come un coraggioso richiamo alle riforme: "La Cina ha sofferto per lungo tempo a causa dell'hukou- si legge nell'editoriale- e noi crediamo che i cittadini siano nati liberi e dovrebbero godere del diritto di spostarsi a loro discrezione, ma questo diritto è stato a lungo contrastato da cattive politiche nate nell'era dell'economia pianificata, che oggi si dimostrano ormai insostenibili". L'appello congiunto, pubblicato su quotidiani come il Metropolis Times di Kunming, l'Economic Observer e il Chongqing Times, è stato cancellato da numerosi siti web nelle ore successive alla pubblicazione, ma costituisce un caso praticamente senza precedenti in cui la stampa chiede al governo una vigorosa sterzata su uno dei pilastri del sistema. Considerati i controlli a cui i media cinesi vengono sottoposti è difficile immaginare che una mossa del genere possa essere stata concordata senza un preciso appoggio politico di alto livello, ed è facilmente intuibile che all'interno dei palazzi del potere sia in corso uno scontro tra i funzionari favorevoli all'abolizione dell'hukou e quelli contrari. L'Assemblea Nazionale del Popolo si concluderà il 15 marzo prossimo: per allora, forse, il confronto potrebbe essere diventato più chiaro.