Pechino, 11 feb. - E dopo il video è stata la volta delle torture. L'attivista e avvocato Chen Guangcheng e sua moglie Yuan Weijing sono stati picchiati dalla polizia e dagli agenti di sicurezza per aver girato il video-denuncia in cui l'uomo descrive gli arresti domiciliari cui è sottoposto (questo articolo). Lo sostiene l'associazione per la difesa dei diritti umani China Human Rights Defenders secondo cui alla coppia è stato negato il permesso di recarsi in ospedale per ricevere le cure. Sempre secondo quanto riferito dall'associazione, i fatti risalirebbero a martedì, prima quindi che il video venisse diffuso su internet dal gruppo China Aid, il quale ha dichiarato di essere venuto in possesso del filmato grazie a un esponente del governo di Pechino che simpatizza con la causa "Chen Guangcheng". La reazione della polizia forse potrà colpire l'opinione pubblica, ma non il diretto interessato: "Chen conosce bene i rischi che comporta la diffusione di questo video – aveva dichiarato giovedì Bob Fu, presidente di China Aid -, ma sostiene che bisogna lottare per la giustizia".
Chen, ormai conosciuto in tutto il mondo, era stato scarcerato lo scorso settembre dopo aver scontato 4 anni di prigionia. Accusato di "incitazione alla sovversione", l'uomo era finito in manette per aver portato all'attenzione pubblica diversi episodi di aborto in stato avanzato e sterilizzazioni forzate imposti alle donne da parte di alcuni funzionari della provincia cinese dello Shandong, dove vive tuttora. Una prassi molto diffusa tra le autorità delle circoscrizioni locali che cercano così di mantenere le quote-nascita al di sotto della soglia annuale fissata dal governo centrale nell'ambito della politica del figlio unico.
Nei sessanta minuti di filmato l'attivista parla di "metodi da hooligans" usati dalla polizia cinese per mettere il bavaglio ai difensori dei diritti umani. Chen descrive poi quella che è la sua condizione: tre squadre, composte da 22 persone ognuna, sorvegliano 24 ore su 24 la casa impedendo sia a lui che ai suoi familiari di uscire. Unica eccezione la madre settantaseienne cui è permesso solo uscire per comprare cibo. All'uomo è negato qualsiasi contatto con l'esterno: il cellulare è fuori uso e i vicini sono stati 'invitati' dagli agenti della sicurezza a schierarsi contro "il traditore" e "controrivoluzionario". "Chen è stato rilasciato, è vero, ma potrebbe tornare dietro le sbarre in qualsiasi momento" precisa la polizia ai vicini. "Il motivo è semplice – spiega l'attivista – se il partito ha deciso che sei colpevole, lo sarai per sempre". Quelli della sicurezza ricevono gli ordini direttamente dal partito comunista e dal ministero per la Sicurezza statale, assicura l'uomo che aggiunge: "Sono uscito di prigione e sono entrato in una cella ancora più grande". "Usano la mano pesante. Pur di mettere a tacere coloro che si battono per la difesa dei diritti umani, le correnti conservative del Partito comunista impiegano metodi da hooligan, spesso ignorando la legge e la costituzione. In molti casi la polizia alza le mani e il dipartimento di giustizia chiude un occhio" dichiara Chen, secondo cui l'intera questione è diretta dal governo centrale e non da funzionari locali. Non solo. I coniugi Chen dicono di avere l'impressione di essere provocati ogni giorno dalla polizia che cerca così di indurli a fare qualcosa che possa rispedire immediatamente l'uomo in prigione.
Quello di Chen Guangcheng non è un caso isolato, il governo ricorre spesso alla "detenzione soft" (ovvero gli arresti domiciliari) per punire i dissidenti e attivisti per i diritti umani. Una condanna che spesso non colpisce solo i 'controrivoluzionari', ma anche i familiari. E' questo ad esempio il caso di Liu Xia (questo articolo) moglie del Premio Nobel per la Pace 2010 Liu Xiaobo - attualmente in carcere dal 2008 per avere ideato e promosso il manifesto "Carta 08" (questo articolo) nel quale si chiedeva una riforma in senso democratico dello stato cinese e l'abolizione del regime a partito unico - sottoposta agli arresti domiciliari subito dopo l'assegnazione dell'onorificenza. E se la vicenda di Liu ha suscitato le polemiche dell'intera comunità internazionale, quella di Chen non passa inosservata in Occidente. Stati Uniti e Unione Europea premono da tempo affinché la Cina liberi l'uomo. Solo un mese fa, alla vigilia della visita di stato in America di Hu Jintao, il segretario di Stato Hillary Clinton si è espressa in proposito. Cieco dalla nascita, avvocato autodidatta ma senza una vera carica giuridica, Chen da anni offre consulenza su diverse questioni legali. Nel 2006 la rivista Time ha incluso l'attivista tra le 100 persone più influenti per il coraggio dimostrato nella lotta contro le autorità per l'affermazione dei diritti umani.
di Sonia Montrella
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