Atc lascia la Cina e produce giubbotti nel deserto di Gafsa
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Atc lascia la Cina e produce giubbotti nel deserto di Gafsa

Atc lascia la Cina e produce giubbotti nel deserto di Gafsa

LA STORIA - Oltre 700 le aziende di casa nostra che hanno scelto il paese nordafricano
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TUNISI. Dal nostro inviato
Meglio Changzhou, tre ore di automobile da Shanghai, o Gafsa, la porta del deserto tunisino a meno di due ore di aereo da Milano? Chantal Baronchelli, giovane manager e sinologa italiana, sui vantaggi competitivi della Tunisia potrebbe scrivere un libro. Lei, novarese, che nel 1998 approda a Pechino dopo un master in studi asiatici a Londra, e lavora nell'ufficio di rappresentanza dell'allora Banca di Roma. Nel 2005 diventa imprenditrice: con il fratello fonda Atc, Asia trading consulting, una società che nasce con l'obiettivo di produrre in Cina i giubbotti imbottiti per una dozzina di griffe italiane ed europee. Nel giro di due anni le fabbriche raddoppiano: una a Changzhou con 300 dipendenti, l'altra a Kunshan, con altri 300 operai, che si specializza nella produzione di capi tecnici per alpinismo. Nel giro di cinque anni, però, la situazione cinese si è completamente ribaltata. Racconta Chantal: «La riforma del diritto del lavoro del 2008 ha generato l'aumento degli stipendi mensili. Ma il vero dramma è il capodanno cinese, che si tiene tra gennaio e febbraio, durante il quale chiudiamo la fabbrica per tre settimane. Nel periodo delle festività gli operai rientrano nei paesi di origine, spesso molto lontani dalla provincia di Shanghai. Il 30% di loro non ritorna più al lavoro».
Atc non sfrutta neppure le grandi potenzialità del mercato interno cinese: i prodotti finiti vengono rispediti nel Vecchio Continente. I Baronchelli, due anni fa, si mettono alla ricerca di un'alternativa. Chantal avvia una ricerca di mercato, setacciando le condizioni offerte dai singoli paesi: dal Bangladesh alla Cambogia, dal Kenia al Mozambico passando per il Marocco. Incrociando i dati macroeconomici, la stabilità politica, il costo del lavoro, la velocità della burocrazia. Racconta la Baronchelli: «Gafsa e la Tunisia non hanno rivali: i nostri interlocutori sono stati il direttore generale della Fipa di Tunisi (l'agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti) e il governatore di Gafsa: due persone squisite e di grande efficienza che hanno messo a nostra disposizione tutte le loro strutture». Nell'area industriale di Gafsa si è già installata una fabbrica giapponese, la Yazaki, che produce cavi elettrici per automobili, e Benetton. La fabbrica dei Baronchelli partirà in ottobre: nei 5 ettari di terreno si produrranno, a regime, 500mila giubbotti l'anno con 900 dipendenti. Gli imprenditori italiani sono rimasti colpiti dall'intelligenza delle operaie tunisine: «Eravamo abituati ai dipendenti cinesi che non sanno dove sia l'Italia e ignorano la cultura del fashion. Le tunisine, tutte diplomate e laureate, sono cresciute guardando la Carrà in televisione, con loro ci capiamo al volo».
I costi per operaio, neanche a dirlo, estremamente convenienti (150 euro al mese), la fidelizzazione assicurata: Gafsa è un bacino minerario, la porta del deserto tunisino, alti tassi di disoccupazione e focolai di malessere sociale alimentati dai minatori rimasti senza lavoro. Chi ottiene un lavoro non lo molla facilmente. Aggiunge l'imprenditrice italiana: «L'aspetto più vantaggioso è l'abbattimento dei costi di trasporto: dalla Tunisia all'Italia i capi prodotti arrivano in 48 ore, dalla Cina ci volevano intere settimane. Noi facciamo comodamente la spola con Milano, un po' come se l'azienda fosse in Puglia o in Sicilia: tre volte a settimane c'è un volo diretto Tunisair che unisce la Lombardia a Tozeur, vicino a Gafsa».
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23/07/2010
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