"Una nuova alba": si intitola così il dossier recentemente pubblicato da KPMG sull'outsourcing in Cina. Un titolo troppo ottimistico per un paese che -nonostante le immense risorse- presenta barriere linguistiche enormi rispetto a concorrenti come l'India? Secondo gli esperti della multinazionale olandese della consulenza, Pechino ha fatto passi da gigante: "Le autorità centrali e locali hanno dimostrato un'enorme determinazione nel promuovere l'Information Technology e l'industria dei servizi su tutto il territorio" scrivono Egidio Zarrella e Ning Wright, responsabili di settore KPMG per la Cina. "La loro prospettiva di lungo periodo è rispecchiata da tutte le iniziative per sviluppare l'istruzione e le infrastrutture. Ma ciò che stupisce davvero è quanto velocemente questa visione stia diventando una realtà". Negli ultimi cinque anni il mercato dell'outsourcing è diventato un business da miliardi di dollari che impiega milioni di persone in tutto il mondo. Se nel 2002 solo il 10% delle multinazionali delocalizzava il settore IT, nel 2008 questa percentuale era salita al 70%, e si prevede che entro il 2012 il mercato mondiale dell'IT- che rappresenta ancora il segmento più forte dell'intera industria- supererà i mille miliardi di dollari. E mentre la crisi finanziaria ancora in corso ha sicuramente influito sulla crescita dell'industria, molte sezioni scollegate ai servizi bancari e finanziari sono rimaste virtualmente intatte. L'outsourcing si sta differenziando in nicchie sempre più specializzate: si va dal legal process outsourcing (che secondo le previsioni dovrebbe toccare i 4 miliardi di dollari nel 2010) all'animazione e giochi online (76 miliardi di dollari quest'anno, con un tasso di crescita annuo dell'8%); dall'insegnamento sul web (52.6 miliardi di dollari l'anno entro il 2010) all'engineering offshore, per arrivare alla ricerca e sviluppo nel settore farmaceutico, che produce in outsourcing il 30% del totale e per il quale nel 2009 si prevede una crescita del 41% rispetto ai 21 miliardi dell'anno scorso. Come entra in gioco la Cina in tutto ciò? Secondo gli analisti KPMG, l'India continua ad essere la patria dell'outsourcing, ma Pechino sta emergendo come l'altro gigante del settore grazie a cinque fattori: le politiche d'incoraggiamento del governo; le infrastrutture di qualità; le capacità tecniche; il linguaggio e i prezzi. L'outsourcing in Cina è ancora un bambino, ma cresce a vista d'occhio; se nel 2007, infatti, l'intero mercato cinese ammontava a 15.2 miliardi di dollari, nel periodo tra il 2009 e il 2013 si prevede una crescita annua del 30%; un risultato record, anche se paragonato al robusto +19% stimato per il resto del mondo. Merito di iniziative come il "piano 10-100-1000", che ha permesso che 10 città cinesi venissero scelte per attirare 100 multinazionali attraverso gli incentivi per la creazione di 1000 compagnie di servizi che hanno beneficiato di vari vantaggi, da una migliore protezione della proprietà intellettuale ai sussidi da 650 dollari per ogni laureato assunto per più di un anno. Secondo KPMG, inoltre, le infrastrutture cinesi sono migliori di quelle indiane; la lingua inglese è divenuta una priorità nell'istruzione dei laureati, senza contare i 2 milioni che parlando giapponese o coreano e possono trovare impiego per ditte che servono queste due nazioni. Infine, pur variando di parecchio di città in città, gli stipendi dei lavoratori sono in media tra il 30 e il 50% più bassi rispetto a quelli dei concorrenti indiani: un ingegnere cinese neolaureato può guadagnare un minimo di 250-300 dollari al mese, contro i 750-1000 dollari di un collega di Bangalore o Delhi. "Non è pensabile sottovalutare la crescente importanza della Cina in questo settore- concludono gli analisti KPMG- soprattutto tenendo conto dei piani del governo, che comprendono un enorme riconversione dal manifatturiero al settore tecnologico entro il 2020". Al momento l'outsourcing cinese serve soprattutto compagnie nazionali, coreane, nipponiche e statunitensi: la prossima mossa spetta agli europei.