Pechino, 8 nov.: Chiamateli "strumenti per l'alleggerimento dei rischi del credito" - come ha scelto di fare la Cina - o credit default swap - come sono conosciuti in Occidente -, la sostanza non cambia: i prodotti finanziari derivati che hanno giocato un ruolo di primo piano nella crisi dei mutui subprime sbarcano anche oltre la Grande Muraglia, seppure tra mille cautele. Da venerdì scorso alla borsa di Shanghai nove istituzioni finanziarie - tra cui Deutsche Bank, Industrial and Commercial Bank of China e China Construction Bank - hanno avviato il progetto pilota di contrattazione dei nuovi strumenti finanziari, che a regime vedrà coinvolte 17 società accuratamente selezionate dalla Nafmii (National Association of Financial Market Institutional Investors). Il primo giorno, durante il quale si sono chiusi 20 affari per un totale di 1.84 miliardi di yuan (198 milioni di euro), segna il punto d'approdo di una serrata negoziazione tra i diversi centri decisionali che sovrintendono al mercato finanziario cinese: se da un lato, infatti, la banca Centrale sostiene da tempo la necessità di apertura a strumenti d'investimento più moderni, dall'altro la National Banking Regulatory Commission - l'authority bancaria - ha mostrato un approccio molto più cauto, nel timore che anche la Cina venga "contagiata" da quei prodotti che negli USA e in Europa hanno amplificato gli effetti della crisi finanziaria.
"Mercati maturi come Stati Uniti e Ue hanno mostrato che il principale problema di questi strumenti consiste nella mancanza di regole e in un'innovazione continua ma cieca - scrive il segretario generale della Nafmii Shi Wenzhao in una nota diffusa la scorsa settimana per presentare il progetto - in Cina, invece, gli investitori si trovano a nuotare nudi in un immenso mercato di bond, e siamo in grado di immaginare quanto desiderino un salvagente adeguato". La Nafmii, nata sotto l'ala della banca Centrale, ha condotto attività di lobbying per più di un anno per ottenere l'apertura ai credit default swap, sostenendo che un mercato azionario in rapida espansione come quello cinese - che viene ormai stimato circa 3300 miliardi di yuan (circa 356 miliardi di euro) - aveva urgente bisogno di nuovi strumenti di tutela del rischio d'investimento. I credit default swap in salsa cinese, tuttavia, presentano numerose differenze rispetto a quelli occidentali: i nuovi prodotti non potranno essere utilizzati per assicurare società giudicate ad alto rischio e saranno venduti esclusivamente attraverso il sistema interbancario di Shanghai, regolato dalla Nafmii; il valore degli swap, inoltre, non potrà eccedere di cinque volte il valore dei bond o dei prestiti sottostanti che lo strumento è chiamato a garantire.
"La varietà dei contratti derivati trova un limite solo nell'immaginazione dell'uomo o, a quanto pare, del folle" aveva scritto Warren Buffett allo scoppio della crisi dei mutui subprime negli USA, definendo i credit default swap delle "armi di distruzione finanziaria di massa". I CDS sono i più diffusi tra i prodotti finanziari derivati: chi li sottoscrive, in pratica, si assicura presso l'istituto finanziario sottoscrivente (banche, fondi, etc.) su un precedente investimento (bond emessi da una società o titoli di un debito sovrano, prestiti, etc.) versandone una parte del valore totale, a fronte di un rendimento inferiore alle aspettative alla scadenza del contratto. Ma se l'ente che ha emesso i titoli oggetto del primo investimento risulta insolvente entro un certo termine, ecco che l'istituto finanziario che si era fatto carico del rischio attraverso il CDS deve risarcire il sottoscrittore. Per le sue caratteristiche questo strumento, i cui termini sono variabili e che viene sempre negoziato sul mercato over-the-counter (praticamente senza regolamentazione), si presta a comportamenti speculativi attraverso i quali il sottoscrittore, di fatto, scommette sulle variazioni nella qualità del debito della prima società nella quale aveva investito, o addirittura sul suo fallimento. La China Banking Regulatory Commission, che deve già affrontare le pressioni relative al boom del credito registrato nel 2009, si era espressa a più riprese contro l'autorizzazione alla negoziazione dei derivati sul mercato cinese.
di Antonio Talia
© Riproduzione riservata