Roma, 19 nov. –
Nulla o poco, quindi, sembra essere quindi cambiato nell'azienda che per mesi ha occupato le prime pagine dei giornali a causa di una serie di suicidi, 12 dall'inizio dell'anno (leggi questo articolo) dei propri dipendenti, sfiniti dalle condizioni di lavoro cui erano sottoposti. Questi episodi hanno dato la spinta (e il coraggio) ai dipendenti della catena di assemblaggio dei vari stabilimenti Foxconn di lottare per i propri diritti – oltre che per quelli dei colleghi scomparsi – e di incrociare le braccia paralizzando per diverso tempo – a vari intervalli - la produzione. Turni di più di dodici ore al giorno per una paga da mille yuan al mese (circa 110 euro), pause pranzo brevissime, tempi cronometrati per i bisogni corporali e il divieto categorico per i dipendenti di parlare: questa la descrizione di una giornata tipo raccontata mesi fa da uno dei lavoratori.
Ma nonostante l'alzata di voce degli operai,
A ottobre
A rendere ancora più difficile la vita di questi operai si aggiunge poi l'ipotesi di un trasferimento. Molte fabbriche che operano in Cina stanno traslocando nelle zone più interne (e più economiche) e nella lista dei nomi compare anche Foxconn Technology Group che, secondo quanto dichiarato dall'amministrazione della città di Chengdu, investirà più di 2 miliardi di dollari nell'apertura di una nuovo stabilimento nella città. Un progetto che potrebbe comportare un effettivo trasferimento della manodopera proveniente da stabilimenti dall'ingranaggio già ben oleato.
L'ondata di scioperi che nei primi mesi dell'anno aveva coinvolto oltre alla Foxconn anche altre compagnie (Honda in primis), aveva fatto sperare in una 'lotta di classe' cinese guidata da operai sempre più desiderosi di essere ben pagati e di avere più potere sindacale. Sono stati in molti ad annunciare (forse prematuramente) la fine di un'era - quella che per anni ha visto l'economia del Dragone contare soprattutto su manodopera a basso costo e su ritmi di lavoro massacranti – e l'inizio di una nuova fase in cui
"Di sicuro vedere in questi scioperi, che riguardano l'aumento dei salari minimi, l'inizio di una rivoluzione industriale, è una esagerazione" avevano dichiarato in una intervista ad Agichina 24 Robert Ash e Jonathan Fenby (leggi questo articolo) . "In primo luogo, finora gli scioperi hanno interessato principalmente aziende straniere, non cinesi. A parte il Guangdong, il fenomeno non si è diffuso in altre province della Cina; altrove non sono stati avvertiti simili segnali di disagio. In secondo luogo, in tutti i casi si è trattato di un aumento del salario minimo. La politica economica cinese è tesa a aumentare i consumi; per aumentare i consumi bisogna aumentare i salari che in proporzione al Pil sono nettamente più bassi nelle regioni centrali. In altre parole, l'aumento dei salari va nella direzione della politica governativa. Infine, la scarsa disponibilità di mano d'opera si riferisce quasi esclusivamente alla scarsa disponibilità di mano d'opera qualificata; quest'ultima ha oggi esigenze diverse, ad esempio non è disposta a lavorare troppo lontano da casa".
Aldilà di ogni previsione, se il Dragone cambierà traiettoria è possibile intuire che lo farà alla maniera cinese.
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