Pechino, 1 feb. - Qualche apertura su un futuro apprezzamento dello yuan? Arriva dal World Economic Forum di Davos. "Se i partner globali sono pronti a una exit strategy, la Cina è pronta ad adottarla attraverso diversi strumenti, come la liquidità o il tasso di cambio" ha dichiarato il vicegovernatore della banca Centrale Zhu Min, facendo intendere che Pechino valuterà un apprezzamento della sua valuta quando gli altri paesi ritireranno il loro pacchetto di stimoli all'economia. Zhu ha però anche rimarcato la tradizionale posizione cinese degli ultimi mesi, secondo la quale uno yuan più forte non riequilibrerebbe la bilancia commerciale mondiale: "Abbiamo mantenuto un tasso di cambio stabile durante la crisi come una sorta di pacchetto di stimoli parallelo. Una politica che ha fatto bene tanto alla Cina che al resto del mondo, anche se si potrebbe parlare di un apprezzamento in futuro. Questa crisi ci ha mostrato che un modello di economia basato esclusivamente sulle esportazioni è insostenibile, e stiamo lavorando al cambiamento. Le cose sono migliorate, ma ci vuole del tempo". Una posizione parzialmente condivisa dal capo del Fondo Monetario Internazionale Dominique Strauss-Kahn, secondo il quale i consumatori cinesi sono ancora lontani dal poter compensare al calo di consumi negli Stati Uniti. La moneta cinese, lo yuan, da mesi è al centro di numerosi attacchi da parte di americani ed europei, che accusano il Dragone di mantenere basso il valore della sua divisa per sostenere artificialmente le sue esportazioni: il surplus commerciale della Cina ha raggiunto lo scorso anno quota 196.1 miliardi di dollari. Lo yuan, detto anche renminbi, è una valuta non convertibile: nel 2005, quando il tradizionale ancoraggio al dollaro venne sospeso per fare posto a un tasso di cambio vincolato alle fluttuazioni di un paniere di divise internazionali (tra cui euro e yen giapponese), la divisa cinese si apprezzò progressivamente di circa il 20% sul biglietto verde; un processo interrotto nel maggio 2007, alle prime avvisaglie della crisi globale, quando Pechino frenò la rivalutazione per proteggere le esportazioni cinesi, riducendo il collegamento con il paniere di valute e, di fatto, ancorando di nuovo la sua moneta a quella statunitense. Un rapporto della banca Centrale pubblicato nel novembre scorso aveva lasciato intravedere altri spiragli, ma la strada verso l'apprezzamento sembra ancora molto lunga.