La Corea del Nord, la nazione più isolata del globo, da ieri potrebbe essere un po' meno isolata. Secondo quanto riferisce Yonhap, agenzia di stampa di Seoul, la Cina starebbe per investire circa 10 miliardi di dollari in reti ferroviarie, progetti immobiliari e nuovi porti marittimi dopo il raggiungimento di un accordo con Taepung International Investment Group, uno dei gruppi economici controllati dal regime di Pyongyang. Secondo una fonte citata dalla Yonhap, la maggior parte degli investimenti proverrebbe dalle banche cinesi, capaci di mettere insieme una cordata di imprenditori disposti ad avventurarsi in uno degli stati più poveri del pianeta, separato dal resto del mondo dalla ferrea dittatura di Kim Jong Il e del Partito del Lavoro di Corea (sorta di via personalistica allo stalinismo più ortodosso), periodicamente funestato dalle carestie e iscritto nella lista dei "paesi canaglia" a causa del suo programma nucleare. La notizia arriva a una settimana di distanza dalla visita di Wang Jianrui, alto funzionario diplomatico del Partito Comunista Cinese, nel corso del quale il "Caro Leader"- come Kim Jong Il ama essere definito - aveva manifestato la sua intenzione di riprendere i negoziati a sei per "raggiungere l'obiettivo di una penisola coreana denuclearizzata". Si tratta di una vera apertura o dell'ennesimo trucco del regime di Pyongyang? Nel corso degli anni Kim Jong Il, che nonostante la malattia festeggia in questi giorni il 68simo compleanno, ha giocato una lunga, complessa partita contro il resto del mondo, sulla pelle del suo popolo: con gli scambi commerciali con l'estero ridotti quasi allo zero, privata del flusso di aiuti provenienti dal blocco sovietico dopo la caduta del Muro di Berlino, la Corea del Nord si è tenuta a galla con diversi espedienti; nel 2006, ad esempio, i segugi del Tesoro Usa riuscirono a provare il coinvolgimento dei nordcoreani nella produzione e nello
spaccio delle cosiddette "supernotes", false banconote da 100 dollari particolarmente difficili da individuare. Anche la tecnologia nucleare costituisce da tempo una voce consistente nei vacillanti bilanci di Pyongyang; da un lato grazie alle esportazioni (il network dell'ingegnere pakistano A. Q. Khan, il "padre dell'atomica islamica", acquistò i dispositivi nordcoreani, rifornendo tanto Islamabad che, in seguito, Teheran), e dall'altro in virtù dell'arma del ricatto, che Kim Jong Il ha costantemente utilizzato per ottenere aiuti e sovvenzioni economiche in cambio della promessa di sospendere il suo minaccioso programma atomico. Adesso, però, alcuni segnali indicherebbero che l'economia nordcoreana sia giunta al tracollo definitivo. Nel novembre scorso la Corea del Nord ha rivalutato la sua divisa, il won, in un tentativo di indebolire la classe di piccoli commercianti, specie di merci di contrabbando, che si stava formando all'interno del paese, e riaffermare così la completa sovranità dello stato sull'economia. La mossa ha avuto un impatto disastroso: i nordcoreani sono stati costretti a cambiare le vecchie banconote con le nuove al tasso di 100 a 1, ma il limite posto al quantitativo di banconote scambiabili pro-capite ha portato a un'impennata dei prezzi, lasciando tutti i cittadini che avevano qualche risparmio da parte con un cumulo di denaro completamente privo di valore. Secondo le notizie che filtrano col contagocce da oltreconfine, la crisi avrebbe causato numerosi scontri tra le forze di polizia e i commercianti del mercato nero, suscitando nella popolazione il timore di un ritorno alle devastanti carestie che negli anni Novanta uccisero centinaia di migliaia di persone. Alcuni analisti interpretano addirittura i recenti scambi di colpi di cannone tra navi nordcoreane e sudcoreane lungo il confine marittimo non come le solite schermaglie di routine, ma come il tentativo di una fazione dell'esercito di Pyongyang di richiamare l'attenzione sulla situazione disperata in cui versa il paese. Ipotesi, ma che trovano conferma ad un certo livello proprio nell'intervento economico cinese: Pechino è l'unico alleato della Corea del Nord, un alleato che ha spesso cercato di ricondurre le politiche avventuriste di Kim Jong Il a più miti consigli, anche facendo pressione per una maggiore apertura economica. Ma è anche un alleato che non ha nulla da guadagnare da un tracollo improvviso del regime di Pyongyang, se non milioni di profughi affamati che si riverserebbero ai suoi confini.
Antonio Talia