Anche i sauditi nella partita latina
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Anche i sauditi nella partita latina

Anche i sauditi nella partita latina

Non solo Cina. Fondo di 800 milioni di dollari per riserve strategiche di riso e grano
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BUENOS AIRES. Dal nostro corrispondente
Cinesi e arabi. Sono loro i nuovi player in America latina. I primi non sono una sorpresa, i secondi sì. Le grandi estensioni territoriali e l'assenza di accordi preferenziali con altri Paesi o blocchi commerciali hanno fatto del Subcontinente terra di conquista per Cina e, nelle ultime settimane, anche per Arabia Saudita.
I sauditi hanno creato una societá statale dotata di un fondo di 800 milioni di dollari. Obiettivo è l'investimento agricolo in Paesi sudamericani e africani dopo il fallimento della produzione locale, troppo onerosa per il fabbisogno di acqua. Il viceministro saudita dell'Agricoltura, Abdullah al-Obaid, ha dichiarato che «la somma stanziata potrebbe lievitare nei prossimi mesi. L'Arabia Saudita vuole accumulare riserve strategiche di riso e di grano che possano garantire un serbatoio di consumo di tre-sei mesi».
Nei programmi di Riad c'è la selezione di imprese con cui creare joint venture che possano sviluppare interessi comuni. Secondo indiscrezioni, c'è già una short list di 20 società. La produzione di cereali, iniziata negli anni Settanta, verrà abbandonata dall'Arabia nel 2016 a causa dei costi troppo sostenuti.
Ma è la Cina il Paese che, da anni, è sbarcato con più determinazione in Sudamerica. Persino negli ultimi giorni, alla vigilia del viaggio di Barack Obama in Messico, ha rilanciato accordi e siglato intese. Dal Brasile all'Argentina, dal Venezuela all'Ecuador, da Cuba al Cile, la diplomazia di Pechino ha tessuto rapporti e fatto affari.
Petrolio, mais, grano e rame sono le commodities di cui Pechino ha grande necessitá. Ecco perché ha offerto a Lula 10 miliardi di dollari per lo sviluppo di Petrobras, la societá nazionale. Ecco perché ha raddoppiato da 6 a 12 miliardi di dollari un fondo per lo sviluppo dell'industria petrolchimica venezuelana. In cambio Caracas incrementerá il greggio esportato a Pechino da 380mila a un milione di barili al giorno. Ecco perché due settimane fa ha siglato un accordo con l'Argentina per un currency swap di 70 miliardi di yuan per poter effettuare scambi commerciali tra Pechino e Buenos Aires. In altre parole le transazioni commerciali tra i due Paesi potranno essere regolate in valuta cinese.
Quella cinese é una vera e propria strategia commerciale che non ha escluso neppure Paesi minori, come Ecuador e Cuba. Al Governo di Quito ha offerto un miliardo di dollari per costruire una centrale idroelettrica e a L'Avana ha messo sul piatto cifre considerevoli per sviluppare l'industria del turismo. In cambio, ancora una volta, materie prime. In questo caso il nichel, di cui Cuba è forte esportatore.
Qualche dato per capire la forza di impatto della Cina: Yang Wanming, direttore del Dipartimento America latina e Caraibi del ministero degli Esteri di Pechino, parla di 100 miliardi di dollari di interscambio, realizzati nel 2008. È il doppio di quanto realizzato nel 2005.
Un rapporto economico rafforzato che si riverbera anche nella cultura cinese. Wanming dice che «è aumentato sensibilmente il numero dei cinesi che studia lo spagnolo, e l'America latina è diventata la terza meta turistica dopo Europa e Stati Uniti». L'espansione commerciale ha saputo fare leva, secondo la maggior parte degli analisti latino-americani, sulla distanza politica cresciuta negli ultimi dieci anni tra Sudamerica e Stati Uniti.
Il progetto dell'Alca, Area di libero scambio delle Americhe, un'unione doganale estesa dall'Alaska alla Terra del Fuoco, era fortemente voluto da George W. Bush, ma i Paesi sudamericani lo temevano in quanto minaccia al commercio regionale e disincentivo al miglioramento della produttività dei partner più deboli del rapporto di scambio, ovvero gli stessi sudamericani.
Dopo un lungo travaglio l'Alca si è tradotto in una doppia sconfitta: il disegno è fallito e l'immagine Usa in America latina, negli ultimi cinque anni, è scesa ai minimi storici.
Insomma, si é consumato un distacco ben espresso dall'autocritica di Hillary Clinton al vertice di Trinidad e Tobago, e confermato dalla volontá di Obama di riavvicinare Nord e Sudamerica.
R. D. R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

28/04/2009
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