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SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
La Cina non fa sconti ai ribelli dello Xinjiang che a luglio avevano messo a ferro e fuoco Urumqi, il capoluogo della turbolenta provincia occidentale cinese.
Ieri, poche settimane dopo aver mandato al patibolo nove persone ritenute responsabili dei violenti scontri etnici che costarono la vita a quasi 200 persone, il Tribunale di Urumqi ha condannato a morte altre cinque imputati, tutti di etnia uigura. Altri due rivoltosi se la sono cavata con il carcere a vita. La corte li ha riconosciuti colpevoli di omicidi, rapine e saccheggi. Per questi reati, soprattutto in presenza dell'aggravante della sovversione dell'ordine pubblico, la legge cinese prevede la pena di morte.
I giudici non hanno reso noto quando questo secondo gruppo di ribelli sarà giustiziato, ma a giudicare dai precedenti dovrebbe essere questione di poche settimane. E vista la gravità degli incidenti dello scorso luglio (il presidente Hu Jintao lasciò anzitempo il vertice del G-8 dell'Aquila per tornare a Pechino a dirigere di persona le operazioni antisommossa nello Xinjiang), è da escludere che ai condannati possa essere concessa la grazia.
La larga maggioranza degli imputati dei moti di luglio sono di etnia uigura, la popolazione autoctona dello Xinjiang di origine turcomanna e religione musulmana. Dopo aver trascorso parecchi anni in pace in uno stato di calma apparente, all'improvviso la scorsa estate uiguri e cinesi iniziarono a darsi battaglia per la strade di Urumqi. Ad accendere la scintilla dello scontro etnico furono alcuni incidenti tra operai immigrati uiguri e han accaduti in una fabbrica del Guangdong, cioè a migliaia di chilometri dallo Xinjiang. La notizia innescò un'ondata di violenze contro la comunità cinese di Urumqi. Gli han reagirono e la polizia e l'esercito intervennero duramente per sedare la rivolta.
Una rivolta che, con grande sollievo di Pechino, è rimasta confinata al capoluogo dello Xinjiang. Il timore del Governo cinese, infatti, era che la protesta uigura si estendesse rapidamente a macchia d'olio ad altre città della provincia, dove le comunità autoctone di religione musulmana sono molto più organizzate e numerose.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
04/12/2009
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