Di Eugenio Buzzetti
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Pechino, 9 giu. - Quale sarà il ruolo della Cina nella nuova banca di sviluppo infrastrutturale asiatica e quale atteggiamento avrà Pechino all'interno del nuovo soggetto finanziario che dovrebbe nascere entro fine anno, sono due temi di cui discutono da mesi economisti ed esperti. La domanda che in molti si pongono è se la Cina avrà o meno un potere di veto all'interno della Asian Infrastructure Investment Bank, da cui sono assenti Stati Uniti e Giappone, rispettivamente la prima e la terza economia del pianeta. Dopo l'ultima riunione dei 57 Paesi membri a Singapore, il mese scorso, Pechino emerge come il principale azionista del nuovo soggetto finanziario, con una percentuale compresa tra il 25% e il 30%, corrispondente alla quota di fondi versati, trenta dei cento miliardi di dollari del capitale iniziale dell'Aiib. Il ruolo di Pechino potrebbe, però, essere ben superiore alla quota che detiene.
Secondo alcune fonti vicine al board del nuovo organismo finanziario sentite dal Wall Street Journal, Pechino avrebbe un sostanziale potere di veto all'interno dell'Aiib grazie al fatto di essere il principale azionista e grazie alle regole di voto che la metterebbero in vantaggio sugli altri Paesi. Quello cinese "è un veto su decisioni importanti: non è un veto operativo - spiega ad Agichina Michele Geraci, direttore del China Economic Research Program, presso la Nottingham University Business School China, e direttore del Global Policy Institute China - Riguarderà eventuali ristrutturazioni della banca o il cambiamento degli articoli di associazione della banca, ma non riguarderà gli investimenti. Non è un veto politico che la Cina può usare, per esempio, con Paesi concorrenti, come il Vietnam". La posizione cinese all'interno del nuovo soggetto finanziario è proporzionata agli sforzi fatti da Pechino finora. "La Cina ha una porzione ampia di voto perché mette più soldi degli altri, quindi la mia prima risposta è che il potere della Cina corrisponde all'incirca all'ammontare economico che versa, in base ai canoni di corporate governance".
Il nuovo soggetto finanziario fa da tempo discutere i vertici dell'economia mondiale, e mette, almeno in parte, in ombra il ruolo di Washington nel panorama economico mondiale. La scorsa settimana l'ex governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke, impegnato di recente in un giro di conferenze in Asia orientale, aveva rimproverato l'atteggiamento statunitense di chiusura nei confronti del nuovo soggetto finanziario asiatico. La Cina chiede da tempo maggiore voce per i Paesi in via di sviluppo - come essa stessa si classifica - all'interno delle istituzioni finanziarie mondiali, e la nascita della Aiib avrà tra i suoi scopi quello di "colmare un vuoto di interventi", spiega ancora Geraci, lasciato dai principali istituti finanziari regionali asiatici, come la Asian Development Bank e la Banca Mondiale. "Bisogna poi sottolineare che le offerte per i progetti sono aperte a tutti, non solo ai membri della banca - continua l'economista - Per esempio anche uno Stato come l'Argentina potrebbe concorrere con alcuni progetti e lo sviluppo di questi progetti sarà deciso dai Paesi membri dove la Cina inciderà con la sua quota ma non con un veto, perché il veto si applica solo a questioni di natura strutturale, non sui singoli progetti".
Tra i dubbi che permangono tra gli analisti ci sono quelli relativi alla trasparenza della governance, ma per la Cina la nuova banca di investimenti in infrastrutture rappresenterà anche un importante esperimento di soft power. Pechino "è sotto scrutinio e sarà più controllata di quanto lo siano stati gli Stati Uniti in passato. Il risultato - prevede in conclusione Geraci - potrebbe essere in media uguale o anche migliore rispetto a quello ottenuto dagli Usa nelle istituzioni finanziarie dove Washington è presente con quote importanti".
09 giugno 2015
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