AIDS: NEGATE CURE A LAVORATRICE
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AIDS: NEGATE CURE A LAVORATRICE

AIDS: NEGATE CURE
A LAVORATRICE

Sanità
AIDS: NEGATE CURE A LAVORATRICE
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Roma, 16 lug. – Un ospedale cinese della Mongolia interna ha negato le cure a una donna trovata positiva ai test dell'HIV. Li Na, una lavoratrice migrante di 37 anni, era stata gravemente ferita nel corso di una disputa, cui aveva preso parte insieme ai suoi colleghi, scoppiata in seguito alla richiesta di accredito degli stipendi arretrati. "È stata colpita cinque o sei volte e quando ha iniziato a sputare sangue è stata portata in ospedale" racconta Wu Jibiao, un collega della donna. "Appena i dottori hanno visto i risultati dei test si sono opposti alle cure. L'ospedale si è rifiutato di dare una stanza a Li Na e la nostra compagnia ha minacciato di non pagare più nessuno nel caso in cui la donna avesse insistito per rimanere. Ora continua a sputare sangue, non riesce a camminare e la sua pressione è molto alta" continua Wu. Appena appresa la notizia, i colleghi di Li Na hanno smesso di parlare con la donna che, riferisce il lavoratore, "si sente rifiutata e non vuole più continuare a vivere". Secondo il racconto di Wu, la donna avrebbe contratto il virus più di dieci anni fa donando il sangue nella sua provincia natale dello Henan. Negli anni '90 la regione è stata scenario di un enorme scandalo, inizialmente coperto dalle autorità, relativo alla compravendita di sacche di sangue. La maggior parte dei prelievi venivano effettuati riutilizzando le stesse siringhe, un metodo che ha causato la morte degli abitanti di un intero villaggio devastato dall'AIDS. Non è escluso che la donna sia stata contagiata proprio in quell'occasione.


Il caso di Li Na non solleva solo il problema della scarsa assistenza sanitaria ai lavoratori migranti, ma riapre soprattutto la questione della discriminazione nei confronti dei sieropositivi. Solo due mesi fa, in occasione dell'Expo di Shanghai, il governo ha riaperto le porte ai turisti malati di AIDS revisionando una legge del 1980 che ne vietava l'ingresso. "Bandire dal nostro Paese i malati di AIDS non può essere una soluzione al problema" aveva dichiarato un funzionario dell'Ufficio legale del Consiglio di stato. E se si può affermare che i turisti sieropositivi sono ormai tutelati, diverso è il caso dei malati cinesi. Sebbene la posizione ufficiale di Pechino sia quella della lotta alla disinformazione e dell'assistenza ai malati – che secondo le statistiche sono oltre 740mila – la regola non sembra essere applicata su tutto il territorio. Nessun accenno però è stato fatto riguardo alle misure punitive previste nel caso di mancata assistenza sanitaria. Per il momento né l'ospedale, né le autorità locali hanno voluto rilasciare dichiarazioni.
 
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