ACQUISTO BOND USA AI MASSIMI LIVELLI
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Pechino, 16 giu.- Dopo sei mesi di fila in cui sembrava che la Cina stesse riducendo le sue riserve di valuta estera denominate in dollari, il biglietto verde torna alla ribalta: secondo i dati diffusi ieri dal Tesoro USA, nel mese di aprile Pechino è tornata a detenere il debito pubblico statunitense per un totale di 900,2 miliardi di dollari, il livello più alto registrato dal novembre 2009. A pesare sulle decisioni del Dragone è soprattutto la crisi del debito sovrano in Europa, che ha spedito l'euro ai minimi storici da quattro anni a questa parte, dissuadendo la Cina e numerose altre nazioni da una diversificazione delle riserve. Ad aprile, Pechino si conferma così il primo creditore di Washington, seguita da Tokyo (795,55 miliardi di dollari) e Londra (239,3 miliardi); dopo aver raggiunto il picco nel luglio 2009 con riserve denominate in buoni del Tesoro USA per mille miliardi di dollari, l'attaccamento cinese al debito pubblico americano era ufficialmente calato per sei mesi di fila fino al febbraio di quest'anno, nonostante le numerose conferme del fatto che Pechino abbia continuato comunque a rastrellare Treasury Bonds attraverso piazze terze come Londra e Hong Kong. L'immensa riserva di bond del Tesoro americano custodita dalla Cina, come è noto, è il risultato degli squilibri commerciali nella bilancia dei pagamenti tra le due nazioni; da anni Washington acquista beni da Pechino pagando in dollari, dollari che la Cina reinveste in bond e altri asset denominati in valuta americana: nel 2006 il Dragone ha comprato circa il 50% del debito netto americano, mentre nel 2007 la percentuale è scesa al 30%, per poi declinare al 20% nel 2008 e a meno del 5% nel 2009. La ripresa degli ultimi mesi, tuttavia, ridimensiona le preoccupazioni degli USA sulla disaffezione verso i titoli del Tesoro, che in prospettiva potrebbe costringere Washington ad aumentare i tassi di interesse pur di continuare a finanziare il proprio debito pubblico; un debito che nel 2009 ha infranto ogni record attestandosi a 1400 miliardi di dollari e che, secondo le previsioni, nel 2010 raggiungerà quota 1560 miliardi. Ma nonostante Pechino – anche a causa delle scarse alternative – continui a sostenere Washington, gli Stati Uniti si mostrano sempre più preoccupati per le nuove regole che la Cina sta introducendo e che, secondo una larga fetta del Congresso e dell'opinione pubblica americana, potrebbero portare ad un ulteriore squilibrio nella bilancia dei pagamenti: il pacchetto di norme a sostegno della "innovazione nazionale", la cosiddetta "indigenous innovation" che obbliga le agenzie governative cinesi a privilegiare aziende nazionali che sviluppano le proprie tecnologie in loco, viene percepita come una forma appena velata di protezionismo. La Cina non ha ancora adottato formalmente le nuove disposizioni, ma un'indagine del marzo scorso della Camera di Commercio USA ha mostrato che circa il 37% delle compagnie americane di information technology risulterebbero già penalizzate dai primi effetti del nuovo corso. La scorsa settimana, i CEO di 12 giganti del software, tra cui Steve Ballmer di Microsoft, si sono incontrati con membri del Congresso e rappresentanti dell'amministrazione Obama per discutere della questione.

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