Accordo Usa-Cina, Europa delusa
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Accordo Usa-Cina, Europa delusa

Accordo Usa-Cina, Europa delusa

Il vertice sul clima - LOTTA AL RISCALDAMENTO GLOBALE
di lettura
Adriana Cerretelli
Mario Platero
COPENHAGEN. Dai nostri inviati
È stato un documento sofferto quello annunciato ieri sera dal presidente Barack Obama, concordato dagli Stati Uniti con Cina, India, Brasile e Sudafrica. Un documento che ha deluso l'Europa che infatti ha continuato a rimandare, senza poi tenerla, una conferenza stampa programmata subito dopo quella di Obama e ha annunciato un nuovo giro di negoziati per cercare di rendere accettabile a tutti, europei compresi, l'intesa concordata dagli americani con i grandi tra gli emergenti.
Subito dopo l'annuncio di Obama il presidente francese Nicolas Sarkozy era sembrato sereno: «Abbiamo l'accordo» aveva annunciato, aggiungendo che nei prossimi appuntamenti di Bonn a metà anno e di Città del Messico a fine 2010 sarebbero stati ulteriormente affrontati i capitoli rimasti aperti. Subito dopo Sarkozy lasciava Copenhagen per Parigi. Intanto i leader europei insieme ai rispettivi ministri si riunivano per tentare di rendere accettabile un accordo che in partenza disconosceva quasi tutte le loro ambizioni. E infine in nottata Angela Merkel, Gordon Brown e lo stesso Sarkozy annunciavano la firma della bozza sottolineando che si tratta comunque di «un primo passo».
Per ammissione degli stessi americani quello raggiunto resta un accordo minore, di sapore politico e non vincolante, molto meno ambizioso di quello che ci si aspettava sia sul piano degli impegni collettivi sia su quello delle verifiche. Ma, come ha detto Obama alla fine della conferenza: «Dobbiamo partire dal presupposto che muoversi in avanti è meglio della paralisi...l'accordo è insufficente ma significativo».
Di fatto l'Europa esce da questo vertice senza aver ottenuto neppure gli obiettivi minimi che si proponeva. L'accordo in effetti, riflettendo anche le nuove dinamiche globali, prima di tutto il G-2 tra Stati Uniti e Cina, è stato plasmato per soddisfare paesi come l'India, il Brasile e il Sudafrica che sono riusciti ad ottenere l'assenso di Washington. Per questo ieri sera qualcuno si è spinto a parlare di accordo separato.
La bozza del documento annunciato da Obama e Sarkozy prima della ripresa di un nuovo giro di negoziati non contiene alcun tipo di impegno vincolante né cifre per la riduzione delle emissioni nocive nel 2020 e 2050. Prevede che i singoli paesi industrializzati presentino la lista dei loro tagli entro la fine di gennaio e ribadisce l'impegno a contenere la'umento del riscaldamento globale entro i due gradi. Viene inoltre confermato il pacchetto di aiuti finanziari ai paesi in via di sviluppo per 30 miliardi di dollari nel triennio 2010-2012 e per 100 miliardi di dollari a partire dal 2020. Gli Stati Uniti si sono impegnati a versare 3,6 miliardi di dollari per il "fast start" contro i 10,6 miliardi di dollari già promessi dagli europei.
Nell'intesa non compare alcun meccanismo di verifica internazionale: saranno i singoli stati ad autocertificare il rispetto degli impegni assunti e ci saranno regole di consultazione e informazione a livello internazionale. «Abbiamo anche altri metodi per monitorare i progressi compiuti dai vari paesi, disponiamo di rilevatori satellitari che potranno tenerci informati se gli impegni saranno davvero rispettati», ha detto Obama. Ma fonti vicine al governo Usa hanno espresso riserve: «È un primo passo in avanti, ma non è sufficiente a combattere i cambiamenti climatici».
La giornata era stata concitata fin dalla prima mattinata: «Non capisco come si possa pensare di avere un accordo internazionale per poi non condividere le informazioni necessarie a confermare i nostri impegni. È una posizione che non ha senso», diceva lo stesso presidente americano in uno dei passaggi in cui attaccava più direttamente la Cina nel suo discorso di ieri mattina. Poco prima Obama, appena arrivato a Copenhagen, alle sette del mattino, si era recato a un incontro con 25 protagonisti decisivi della partita. Ma il leader cinese Wen Jiabao non si presentava. Decideva di inviare al suo posto il numero due del ministero degli Esteri, He Yafei. L'atteggiamento provocatorio cinese ha fatto infuriare sia gli americani che gli europei. Poi, dopo il discorso, Obama e Wen si sono incontrati per 55 minuti: «Un incontro costruttivo per risolvere la questione delle verifiche», ha detto una fonte della Casa Bianca. Subito dopo i due hanno delegato i loro sherpa a continuare il negoziato. Si sono anche rivisti in tarda serata. Ma si è capito quasi subito che i cinesi non avrebbero ceduto sulla questione centrale, quella delle verifiche: «Per vincere la sfida, la comunità internazionale deve rafforzare la fiducia reciproca, costruire il consenso, fare uno sforzo vigoroso e lanciare la cooperazione», replicava polemico nei confronti di Obama il premier cinese Wen, che disertava poi altri incontri multilaterali facendo capire senza più dubbi che gli obiettivi più ambiziosi a Copenhagen non sarebbero stati mai raggiunti.
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I finanziamenti per aiutare i paesi in via di sviluppo a fronteggiare i cambiamenti climatici e per contribuire al loro sviluppo con energie pulite, sono uno dei passaggi-chiave dell'intero negoziato. Ecco come funzionano:
2010-2012. Trenta miliardi di dollari previsti come «fast start». Il Giappone ne ha promessi 10. L'Unione europea 10,5 (ovvero 2,4 miliardi di euro all'anno). Il resto è da trovare, ma l'impegno è scritto nella bozza di accordo
2013-2020. Sui fondi di questo periodo il testo definitivo dell'accordo tace. Nella bozza precedente (anzi, quella prima ancora, circolata ieri nel primo pomeriggio) c'era scritto che i fondi dovevano crescere progressivamente e arrivare a 50 miliardi nel 2015. Poi questo passaggio è sparito. Alcuni delegati dicono che la crescita graduale dei finanziamenti è implicita. Altri dicono l'esatto contrario.
Dal 2020 in poi. Il consenso c'è solo nel medio-lungo periodo: fra dieci anni, i fondi dovranno ammontare a 100 miliardi l'anno
Dove reperire i fondi
La bozza di accordo parla di una varietà di fonti economiche da «mobilitare»: «pubbliche, private, bilaterali e multilaterali, incluse fonti alternative di finanza». Ma in verità non è stato deciso niente. Né come ripartire gli impegni, né come distribuire i finanziamenti.

19/12/2009
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