Roma, 26 nov.- Pericolo di black-out nel nord della Cina. Il rischio sarebbe dovuto a una combinazione di fattori 'fatali'quali le gelide temperature che caratterizzano l'inverno cinese, l'aumento del prezzo del carbone - principale fonte di alimentazione delle centrali elettriche cinesi - e le misure varate dal governo per favorire il risparmio energetico e contenere le emissioni di gas serra. Intanto, nella prima metà del mese, "le province nordorientali e nordoccidentali, tradizionalmente le più fredde di tutta la Cina, hanno già battuto il più alto record di consumo energetico", fa sapere Liu Zhengya, general manager della State Grid Corp. of China (SGCC), la più grande compagnia di produzione e distribuzione di energia elettrica del Paese. I dati pubblicati dal National Power Dispatch and Communication Center mostrano un incremento su base mensile della produzione e del consumo energetico rispettivamente dell'8,9% e del 7% rispetto allo stesso periodo del 2009. A ciò si aggiunge la possibilità che le scorte di carbone destinate alle centrali elettriche che riforniranno direttamente la SGCC e che si aggirano attorno ai 64,62 milioni di tonnellate (sufficienti a coprire 18 giorni) si rivelino insufficienti. E a farne le spese saranno soprattutto le megalopoli come Pechino, Tianjin e Chongqing e le provincie dello Shandong, del Jiangsu e del Zhejiang che secondo le proiezioni faranno i conti con la carenza di fornitura elettrica proprio nel periodo di massimo picco dei consumi.
Una situazione non nuova per il Dragone che già lo scorso gennaio si era ritrovato a dover razionare l'energia elettrica in diverse zone del Paese rimaste al buio a causa di una forte ondata di gelo che aveva impedito il trasporto del carbone. Immediata la reazione della State Electricity Regulatory Commission che attraverso una nota aveva richiesta alla popolazione di risparmiare al massimo l'impiego di elettricità. Una 'proposta' subito accolta dalle città di Shanghai, Chongqing e numerose altre province della Cina orientale e centrale come Hubei, Jiangxi e Jiangsu. "In questa situazione estrema, assicureremo la fornitura di elettricità nelle abitazioni, che rimane la nostra priorità principale" aveva dichiarato il portavoce di East China Grid per l'area di Shanghai Wang Changxing.Tra le zone più colpite: Hunan, Hubei, Jiangxi ed Henan; e naturalmente la zona di Pechino dove una tempesta di neve aveva fatto scendere la temperatura di quasi 17 gradi sotto lo zero -un gelo che la capitale cinese non registrava dal 1971 – compromettendo gli approvvigionamenti.
Lo stesso scenario si è riproposto il mese successivo in occasione del capodanno cinese quando quasi 210 milioni di cinesi si sono messi in viaggio per raggiungere amici e parenti. L'ondata di maltempo che ha rovinato le feste per il Capodanno e messo in ginocchio la produzione industriale e i trasporti ha intaccato l'immagine del governo, accusato dalle vittime dei black-out e del caos nelle stazioni di non aver fatto abbastanza per limitare le conseguenze del disastro.
Mentre la domanda energetica cinese continua ad aumentare, Pechino cerca altre strade e altre risorse. Oltre agli accordi di cooperazione che la Cina sta stringendo con vari Paesi dell'Africa per l'estrazione di minerali e gas naturale – solo pochi giorni fa il vice presidente Xi Jinping ha fatto tappa in Sudafrica, Angola e Botswana (leggi questo articolo) - Pechino sta dirottando gran parte degli sforzi e degli investimenti sul nucleare. E sarebbe proprio la presenza del Dragone nel settore ad aver causato un innalzamento del prezzo dell'uranio. Dopo quattro anni di stazionamento, la commodity ha subito negli ultimi quattro mesi un incremento del 45% del prezzo, toccando così i 60,50 dollari per libbra. "L'ampliamento del reattore cinese si traduce con una crescita della domanda" ha dichiarato al Financial Times Johnatan Hinze di UxC, società di consulenza specializzata nell'industria nucleare. "La prospettiva di un'impennata della domanda ha attirato l'interesse degli investitori. Gli Hedge Fund che sono penetrati massicciamente nel mercato quando nel 2007 i prezzi sono saliti a 136 Dollari per libbra, hanno iniziato ad acquistare di nuovo negli ultimi mesi" sostiene Adam Schatzker di RBC Capital Market di Toronto. Un fondo Exchange-traded lanciato da Global X Funds ha alzato il pacchetto azionario a 70 milioni di dollari in sole tre settimane dopo il decollo.
Per ora la produzione di energia nucleare si concentra in Francia, Stati Uniti e Giappone, ma sono in molti a sostenere che la Cina diventerà a breve il nuovo attore in gara. "Il governo cinese mira a ottenere dalla produzione nucleare il 5% dell'elettricità necessaria entro il 2020, quadruplicando il consumo di uranio fino a 50-60 milioni per libbra all'anno", spiegano dalla UxC.
La Cina sta costruendo reattori a un ritmo febbrile; basti pensare al recentissimo accordo coi russi per potenziare ulteriormente la centrale di Tianwan, e con una capacità di produzione domestica pari a 2 milioni di libbre all'anno, il Dragone si sta muovendo in modo aggressivo per assicurarsi le scorte di uranio. China National Nuclear Corporation e China Guangdong Nuclear Power Corporation hanno già firmato un accordo con minatori stranieri per il rifornimento a lungo termine della commodities. Come già successo per il rame, insomma, alle origini dell'aumento del prezzo dell'uranio ci sono le mosse della Cina. di Sonia Montrella
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