A Pechino frena la corsa dei prezzi

SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
La Cina riesce a domare l'inflazione, proprio mentre l'economia reale inizia a rallentare il passo. A febbraio, l'indice dei prezzi al consumo ha registrato un incremento su base annua del 3,2%, il livello più basso degli ultimi venti mesi. «L'inflazione è una storia definitivamente finita», ha commentato Hsbc auspicando che ora la People's Bank of China si decida finalmente ad allentare la politica monetaria per incentivare la crescita economica.
Una crescita che, a giudicare dai dati macroeconomici diffusi ieri da Pechino, comincia a picchiare in testa. A febbraio, la produzione industriale ha registrato il tasso d'incremento (+11,4%) più basso dal luglio 2009. Nei primi due mesi del 2012, gli investimenti fissi lordi sono aumentati del 21,5%: anche in questo caso, si tratta di una performance inferiore alle attese, ma soprattutto era da quasi dieci anni che il più potente motore della congiuntura cinese (gli investimenti fissi lordi rappresentano il 54% del Pil) non girava così "piano". Inoltre, sempre nel bimestre gennaio-febbraio, anche le vendite al dettaglio hanno registrato un'espansione deludente: 14,7%, contro una media superiore al 17% dell'anno scorso.
In questo quadro, la prima a scendere in campo per ridare ossigeno all'economia dovrebbe essere la Pboc. Che, dopo aver ingaggiato una lotta senza quartiere contro l'inflazione (nel 2011 ha aumentato 12 volte la riserva obbligatoria e 5 volte i tassi), ora potrebbe decidersi a riaprire i rubinetti del credito. Il Governo, invece, dovrà studiare come sostenere l'economia reale. «La nostra espansione passa per l'aumento della domanda domestica», ha detto lunedì il premier Wen Jiabao inaugurando i lavori dell'Assemblea nazionale del popolo. Ma, a differenza di quattro anni fa, quando per fronteggiare la crisi globale la Cina investì centinaia di miliardi di dollari in lavori pubblici e infrastrutture, oggi sembra intenzionata a usare un'altra leva per pilotare la congiuntura verso un atterraggio morbido: i consumi privati.
È questa, probabilmente, la ragione per cui negli ultimi giorni la stampa cinese ha ripreso a parlare di un tema che sembrava ormai finito nel dimenticatoio: la riduzione dei dazi all'importazione dei beni di lusso. Secondo le indiscrezioni, che in Cina quando finiscono sui media ufficiali hanno ottime probabilità di colpire nel segno, l'abbattimento riguarderebbe un ampio ventaglio di prodotti di alta gamma: dagli orologi al tabacco, dall'alcol alla cosmetica. E potrebbe entrare in vigore prima dell'estate.
La riduzione dei dazi sui beni di lusso è stata oggetto di un lungo tiramolla all'interno del Governo. Che nel gennaio 2011 fece un primo passo dimezzando al 10% quelli su computer, macchine fotografiche e cinecamere di produzione straniera. Poi, a luglio, il ministro del Commercio, che è il grande sostenitore dell'abbattimento tariffario, avrebbe voluto passare alla fase due del piano varando i tagli anche per i beni più strettamente di lusso come orologi, sigari, vino e profumi.
Ma il ministero dell'Economia, per il quale lo sgravio tariffario avrebbe comportato un minor gettito fiscale, si è opposto vigorosamente alla manovra. E così la questione è diventata lettera morta.
Ora il monito di Wen Jiabao riapre la partita. Una partita colossale. Secondo alcune stime, il mercato del lusso vale oggi circa 12 miliardi di euro ed è destinato a raddoppiare le proprie dimensioni entro il 2015, grazie a un tasso di crescita annuo del 30% e all'ingresso di sempre nuovi consumatori che rappresentano il 60% delle vendite totali annue.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

10/03/2012